~.U, BIANCO lXILROSSO •IU1111Aiiil fornita anche da noi) che Saddam Hussein ha stretto al collo del Kuwait e di altri Stati della Regione. Ma la guerra è sempre orribile. Questa lo è ancora più rispetto agli altri conflitti regionali che abbiamo conosciuto negli ultimi decenni perché potrebbe trasformarsi nel possibile preludio di un catastrofico conflitto tra mondo occidentale e mondo mussulmano. Se una simile eventualità dovesse verificarsi sarebbe un disastro. Si tratterebbe, infatti, di un conflitto nel quale si lotterebbe solo per sopravvivere, secondo la logica del sopraffare per non essere sopraffatti. In una guerra con quasi un miliardo di giovani mussulmani in gran parte affamati ed appena usciti dalla lunga umiliazione del colonialismo, tutti combatterebbero solo per non morire. Il che è legittimo, ma accresce anche l'angoscia. Nessuno si potrebbe illudere di battersi per l'umanità e l'universalità come pensava chi ha combattutto per difendere la libertà o per instaurare la giustizia sociale. Anche se questo pericolo appare fortunatamente remoto, la guerra del Golfo angoscia pure chi ha ritenuto e ritiene di non potersi tirare indietro. Si deve perciò tentare di realizzare lo scopo della guerra, che è la liberazione del Kuwait, limitando al massimo i danni, non solo alla propria parte, ma anche ai valori per i quali si combatte: un più giusto ordine internazionale, principi di umanità e di democrazia, rispetto per la vita. Se questi valori risultassero calpestati saremmo di fronte al prevalere dei mezzi sui fini ed i fini ne risulterebbero fatalmente offuscati e sfigurati. Per scongiurare questi rischi va mantenuto vivo l'impegno verso ogni possibilità che consenta di uscire dalla guerra al più presto, non solo cercando di combatterla nel modo più efficace, ma soprattutto cogliendo ed incoraggiando tutti gli spiragli di una possibile soluzione diplomatica che possano portare al cessate il fuoco in vista della attuazione delle risoluzioni dell'Onu. Ciò che serve ora non è quindi una rinuncia unilaterale alla guerra, che non sarebbe altro che un cedimento alla sopraffazione, ma impegnarsi perché la comunità internazionale mostri eguale forza ed autorità per la costruzione della pace. Una pace che deve portare alla liberazione del Kuwait, ma anche alla soluzione delle altre crisi della Regione, a incominciare dalla questione palestinese. Una pace che deve assicurare l'indipendenza dei popoli della regione ed il loro diritto alla giustizia ed alla democrazia. Contro i despoti in divisa, ma anche contro le •. 2 ----- --- - - - - -- concezioni feudali dei sovrani e degli sceicchi del petrolio. Una pace, inoltre, che deve neutralizzare Saddam Hussein, ma non umiliare gli arabi. Le idee sulle quali costruire la pace devono, quindi, nascere nella regione per mettere radici. Una pace, infine, che dia forza ed autorità all'Onu. Per presidiare la pace mondiale dobbiamo riuscire ad attivare strumenti giuridici alternativi alla guerra. Nel quadro dell'Onu si dovrebbe perciò prevedere un trattato, sottoscritto da tutti gli Stati, che obblighi ad accettare una giurisdizione universale per la soluzione dei conflitti, a cominciare da quelli territoriali. Un trattato che di fronte a possibili violazioni affermi il principio della sanzione internazionale come è (sorprendentemente, ma anche del tutto occasionalmente) avvenuto nel caso del Kuwait. Non si tratta di immaginare, in modo utopico, un mondo senza armi che non è mai esistito e, forse, non esisterà mai. Ma bisogna almeno creare le condizioni perché le armi possano diventare, in un quadro internazionale credibile, il deterrente per garantire, nel futuro, il rispetto dei diritti reciproci dei popoli e degli Stati. Per assicurarsi questo ruolo e questa autorevolezza l'Onu ha, però, a sua volta bisogno di profonde revisioni. Dovrebbe, innanzi tutto, eliminare dai propri Statuti le differenze tra i paesi vincitori della seconda guerra mondiale che attualmente siedono in permanenza nel Consiglio di sicurezza ed hanno il diritto di veto e tutti gli altri. Ora che il bipolarismo UsaUrss è finito appare sempre più chiaro che proprio la sopravvivenza di questa diversità potrebbe addirittura accrescere la diffidenza che molti paesi, soprattutto i più poveri, mantengono nei confronti dell'organizzazione internazionale. Se i pacifisti ed i realisti incominciassero seriamente a porre mano a questi problemi potrebbero davvero dare un contributo, non retorico, alla costruzione di un ordine internazionale pacifico.
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