i)JI, BIAl\CO '-Xn.nosso lii•li••il Pace "a qualunquecosto"? !!etica e la guerra di Giorgio Tonini I 1 riaffacciarsi, in queste settimane, dell'esperienza della guerra ha messo a dura prova le coscienze cristiane: da quella del papa, fino a quella dei più semplici tra i credenti. Non c'è nulla di cui stupirsi. La coscienza cristiana ha infatti riscoperto, soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, una forte avversione alla violenza: il concetto stesso di peccato è stato sostanzialmente identificato con quello di violenza, intesa come frutto ed espressione massima dell'ingiustizia, superando anguste riduzioni del peccato stesso alla sfera delle cosiddette "impurità" sessuali, o comunque a quella delle microtrasgressioni dell'ordine costituito. La violenza, per il cristiano di oggi, è il peccato più grave, non solo in quanto essa è una delle cause principali di quello spaventoso abisso di inspiegabile dolore che affligge la vita individuale e collettiva dell'uomo, ma anche e soprattutto in quanto essa appare frutto del libero volere umano e non di forze naturali avverse: un libero volere che si traduce in morte e dolore, anziché in vita e amore. Si tratta di un'acquisizione importante della coscienza cristiana contemporanea, tanto più importante in quanto essa produce o accompagna, talvolta segue, un'analoga, più generale acquisizione da parte della cultura occidentale contemporanea, la quale nel suo insieme, tolte poche frange non significative, teme la violenza, la considera qualcosa di subumano e spera, o si illude, che tutti i problemi siano risolvibili per via pacifica. Questa acquisizione, assolutamente positiva, non è tuttavia, a mio modo di vedere, priva di rischi. Se assorbita e utilizzata con disinvoltura, essa può togliere profondità alla meditazione cristiana sul male e sulla violenza e alla speranza cristiana sulla pace, identificando la coscienza cristiana con un superficiale irenismo. ; - 11 ''Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise" (Gen. 4,8). Così, secondo la Bibbia, la violenza, frutto del peccato, entra nella storia dell'uomo. Adamo volle dare all'uomo un'altra discendenza, che non fosse quella di Caino e generò Set. Ma dopo molteplici generazioni, "il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male. E il Signore si pentì di aver fatto l'uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo" (Gen. 6,5-6). Diò mandò quindi sulla terra il diluvio, dal quale salvò l'unico giusto, Noè, con la sua discendenza. La quale a sua volta volle sfidare Dio costruendo una torre che le consentisse di conquistare il cielo. Allora, "il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra" (Gen. 11,8). La Bibbia vede dunque la causa della violenza nel peccato, inteso come rifiuto da parte dell'uomo dell'amore di Dio. Il germe di questo rifiuto è profondamente radicato nel cuore dell'uomo: cosicché la violenza non è estirpabile, non è eliminabile con un po' di buona volontà. "Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell'arte della guerra": questa è la speranza di pace che grida Isaia (Is. 2,4), la promessa che, attraverso il profeta, Dio stesso ripete all'uomo. Ma Isaia precisa qualcosa che troppo spesso si omette: ciò avverrà "alla fine dei giorni", quando il peccato sarà definitivamente vinto e la riconciliazione tra Dio e uomo sarà compiuta. Cristo è autore di questa riconciliazione: "siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo", dice Paolo (Rom.
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