Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 12/13 - gen./feb. 1991

i.)JJ, BIANCO l.Xn, nosso P 1d 11iiMWtitiit4tiMI drare in quello che viene chiamato il progressismo cattolico, come in tale ottica può essere interpretata anche la mia attenzione ad alcune tematiche del marxismo - sempre rifiutato da me come filosofia della storia e come ideologia - ma analizzato nella sua portata di critica ad una politica puramente descrittiva a favore di una interpretazione economica nella dialettica politica. Ora, i cattolici progressisti oggi sono di fronte a compiti nuovi anche se per certi aspetti collegabili a matrici e ad esperienze tutt'altro che nuove. In un ottimo articolo intitolato «Unità politica, fine da estinzione», l'autorevole rivista cattolica «Il Regno» dichiara giustamente che si è conclusa quella stagione in cui si rese necessaria «una rottura testimoniale e simbolica per affermare laicità e pluralismo» nel mondo cattolico, rottura raggiunta anche con un lungo «impegno» di alcuni di noi. Aggiunge che oggi «appelli e manifesti e documenti di cattolici o verso i cattolici» servono a poco. «La verifica della propria credibilità è oggi tutta posta nella qualità del pensiero politico e dei comportamenti che si mettono in campo; e se e come vengono e affrontate e risolte politicamente le questioni etiche poste dalla Chiesa e dalla cultura cattolica». Come psichiatrapsicologo e biologo, oltre che come politico, mi sto rendendo conto quanto oggi i problemi della bioetica siano determinanti per la nostra condizione umana e come dobbiamo affrontarli - oltre che come scienziati - come politici. Faccio parte di una commissione nazionale proprio per i problemi della bioetica che si trova di fronte al bisogno di fornire al legislatore una documentazione di fondo sui problemi della nascita, della vita e della morte sui quali siamo sempre più costretti a operare anche in termini legislativi di fronte a certi deliri di onnipotenza e a certe follie di ingegneria genetica. D'altro canto il problema delle riforme diviene sempre più acuto con la caduta di miti rivoluzionari palingenetici che però si sostanziavano di reali bisogni di una umanità con drammatici rischi di reificazione, di mercificazione, di riduzione ad oggetto meccanico delle leggi della produzione. Perciò oggi è proprio il momento di aprire una stagione di un sano, concreto e plausibile riformismo. Da quanto ho detto, ossia dalla lunga e travagliata esperienza di cattolico e democratico, alleato dei partiti della sinistra italiana, attento ai problemi dell'economia, deriva in modo evidente il fatto che io credo non solo possibile ma necessario un incontro fra progressismo cattolico e riformismo socialista, ripeto, una volta chiariti questi termini e depurati da vecchie incrostazioni. Il problema è però in che quadro e in che modo tutto questo può avvenire. Il mondo che ci circonda ha camminato e cammina più veloce di noi. Nel nostro paese troppi tardano a prendere coscienza dell'urgenza di profonde trasformazioni politiche. In particolare due partiti sono di fronte all'ineludibile compito della trasformazione della loro politica e del loro ruolo: la Democrazia cristiana e il Partito comunista. Seppure in differente modo e in termini spesso, almeno per aspetti, antagonisti, questi partiti hanno recitato un ruolo fondamentale nella nostra realtà politica impersonando da un lato un «progetto» di governo intorno al quale tutto doveva organizzarsi, l'altro il perno di un'opposizione di fatto che dichiarava di voler diventare forza di governo ma che per ragioni internazionali, ma anche di struttura interna, ideologica e politica, non poteva divenirlo. Questa specie di psico-dramma ormai non regge più. Certi ruoli storici ormai sono superati. Ma radicali trasformazioni all'orizzonte non si vedono. La Dc parla semplicemente di nuovi orientamenti politici ma spera di poter difendere ancora il «progetto» di De Gasperi, seppure modificato, che invece è in tale profonda crisi che lo stesso Moro percepì l'urgenza di mutarlo radicalmente anche se poi il suo tentativo finì-come tutti sappiamo. La Democrazia cristiana spera, almeno in alcuni suoi dirigenti, di poter ancora vivere di rendita sulla crisi economica ma è un'illusione, a mio avviso, a breve termine. Sta di fatto che da venti anni la instabilità delle nostre istituzioni è davanti agli occhi di tutti. Il Partito comunista ha avviato un processo di radicale trasformazione che però si trascina da oltre un anno e del quale non è dato per ora vedere quali saranno le soluzioni, anche se la vittoria della «mozione di Occhetto» appare scontata. Ma a quali prezzi, con quali compromessi, su quali basi, non è facile dirlo. D'altronde i problemi urgono sia sul piano delle riforme istituzionali che su quelle costituzionali, riforme che non si fanno se non sulla base di larghe alleanze e di grandi maggioranze. Anche se in termini transitori occorrono lar-

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