Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 12/13 - gen./feb. 1991

..l)!L BIANCO ~Jl,UOSSO li NIICiif4i#frilfA(IM I (alla sorgente), come frutto della coscienza personale, ad ogni sudditanza culturale e politica: essa rivela un'originaria «intransigenza» cristiana rispetto ad ogni riduzione empiricopragmatica o peggio, privatistica e partigiana, della dimensione politica. È una sorgiva «intransigenza» che si contrappone oggi ancor più chiaramente ad ogni possibile riproposta di «integralismo»: che può riapparire oggi sulla scena solo con un tasso di «ideologia» (intesa nel senso proprio di copertura e «falsa coscienza») non più accettabile ad una matura coscienza credente. La domanda è a questo punto la seguente: è il «socialismo liberale», un programma politico-culturale atto a trattenere e a far esprimere sul proprio aereo questa «intransigenza senza integralismo»? È da sottolineare come l' «intransigenza senza integralismo» di cui si parla è un fattore che mette permanentemente in crisi le false sicurezze della politica calcolante e partigiana. Essa non è né di matrice liberal democratica, né di matrice marxista, ma si distacca anche dal vecchio filone cattolico-sociale per essersi lasciata alle spalle le riserve premoderne e confessionali: rappresenta piuttosto una critica esigente della «modernità» esercitata dai luoghi - anzi dal cuore stesso - della modernità, là dove si vive, si lotta, si soffre e si muore. Intransigenza senza fondamentalismo, sposata al metodo della libertà, in una possibile dimensione di socialismo da realizzare ma non più come regno della libertà assoluta ma come spazi di solidarietà crescente. Una cosa a me pare certa: se si vuol intercettare e trattenere nell'alveo del «socialismo liberale» questi ambienti che rappresentano anticipazioni significative e pregnanti di stili di vita individuali e associate cristiano-laiche, occorre dare una spinta dinamizzante a tutta l'attuale politica e a tutto l'attuale sistema: di potere e dei partiti. Si tratta allora, appunto con la messa in campo di un «sociliasmo liberale» di una sfida di sistema: di rifondazione o ridefinizione di una cultura, non solo di questo o quel partito. lo mi aspetterei da questo convegno che è di studio, ma soprattutto politico, delle risposte e delle assunzioni di responsabilità impegnative. Vorrei per esempio sapere se ciò di cui sto parlando rientra per caso nel giudizio degli organizzatori e invitanti nella categoria del «radicalismo» (cattolico o meno) esorcizzato in qualche intervento dell'ultimo numero monografico de// Bianco e il Rosso, inteso cioè come momento impolitico, dissipativo e infine disutile per una produttiva strategia «riformista». La maturazione e libertà di coscienza, laica ma a radice cristiana - poiché c'è una laicità di radice illuministica ed una laicità di più profonda radice cristiana - è il punto di partenza per una possibile strategia di «sociliasmo liberale». Si tratta in definitiva di stabilire, per ritornare alle considerazioni da me inizialmente riportate, di Adriano Olivetti, se la storia può infine davvero ricominciare, e se la politica può essere fatta davvero senza pregiudizi ideologici ma con attinenza e parametri e finalità etici impegnativi. Abbiamo celebrato l'anno scorso i 200 anni della rivoluzione dell'89. Abbiamo assistito sul '90 al crollo dei miti e dei regimi sorti dalla rivoluzione del '17. Assistiamo presentemente alla ritirata generalizzata dal '17 ali' 89. Una strategia, una politica, un pensiero «socialista» non può non porsi il problema se il crollo del '17 non investa anche i principi dell'89, non raggiunti tra l'altro in gran parte del mondo. E allora il «socialismo liberale», dovrebbe porsi il problema di una «nuova partenza»: dai principi dell'89 alla ricostruzione di una città solidale, proprio puntando sui valori negletti di fraternità, tra quelli della celebre triade rivoluzionaria. Riparametrando tutta la propria azione in un mondo di interdipendenze e non più di un solo conflitto centrale: non quindi su un asse classista monocausale ma in una complessità differenziale, che perciò esige una rifondazione culturale e politica. I valori laici a matrice religiosa attendono certo un esplicito riconoscimento, al di là delle vecchie prudenze e chiusure laicistiche, ma più ancora attendono di essere liberati da opposte gabbie ideologiche che li hanno usati strumentalmente. Potrebbe infine realizzarsi così l'auspicio che un cattolico socialista e liberale, unica voce esplicitamente credente e anticoncordataria, Gerardo Bruni rivolse nel marzo 1947 all'assemblea costituente: che con i valori cristiani, la Chiesa italiana stessa rientrasse nella vita e nella storia nazionale non dalla porta di servizio dei favori confessionali, ma dalla porta maestra e regale della democrazia.

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