Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 12/13 - gen./feb. 1991

B {)JI. Hl.\\'(:() ll(11. ROSSO ii•il 11 i•Mitik4 11 MI particolare struttura di partito, onde il significato è chiaro: il popolo italiano è socialista e cristiano. Potrebbe anche semplicemente dirsi socialista perché naturalmente cristiano. Fuori di questi due sentimenti che vivissimi albergano nell'inconscio del popolo, non c'è vita né vitalità. È doloroso che i tentativi per conciliare le due ideologie non abbiano sinora avuto successo. Ma la storia non è finita. Perché appunto in questa integrazione deve trovarsi avvolto il segreto del futuro e la fonte creativa d'una nuova ed autentica società cristiana». Olivetti proseguiva poi escludendo equivoche combinazioni e sommatorie di colori diversi, auspicando invece una nuova formula da cui: «scaturiscano organicamente fusi quei principi di solidarietà e umanità che accomunano socialisti e cristiani, alla stessa guisa che cementando dei colori complementari, il rosso e l'azzurro, si scopre una nuova espressione dello spettro». La fine del mondo «duale» di Yalta, e delle ideologie staticamente contrapposte e ad esso connesse, ridà oggi spazio a quella storia che per Olivetti non era finita. Ritornano dunque attuali tra gli altri i suggerimenti degli Olivetti, dei Silone, dei Capitini, dei Noventa, giudicati per decenni ingenui utopisti e terrafondisti. Ritorna dunque il tempo delle positive trasgressioni e sperimentazioni, delle nuove «contaminazioni» per usare un termine che vogliamo qui richiamare nel suo senso autentico, «sistemico» e non «partigiano». Tra i muri crollati, in quest'epoca interessante e rischiosa di costruzione della nuova casa comune, c'è anche quella barriera invisibile - vero e proprio «muro del suono» - che divideva, ideologicamente, cristianesimo e socialismo. C'era spesso una soglia oltre la quale l'identità cristiana - parlo della realtà più intima e vera, non delle appartenenze sociologiche - veniva spesso posta in crisi o addirittura frantumata. Con una punta di ottimismo si può invece dire che oggi le ispirazioni più profonde e le domande di senso possono ricominciare a scorrere liberamente sol che si voglia intraprendere un'opera feconda di canalizzazione oltre gli schemi, le ideologie obsolete, le appartenenze. Può, in questo quadro generale, il «socialismo liberale» interessare, anzi più impegnativamente, coinvolgere i cattolici? Per quello che s'è appena detto il «socialismo liberale» è sostanza che, allo stato degli - - - - - 7S atti, non esiste già definita e pronta in natura. Esso attiene ad una costruzione, ad una instaurazione, da compiere. Ad un futuro ordine progettuale. «Socialismo liberale» mi pare terminologia felice: io la leggo, credo correttamente, con «socialismo» come nominativo e «liberale» come aggettivo. «Socialismo» attiene dunque alla sostanza, «liberale» attiene al metodo. Socialismo viene così mantenuto come termine forte, a significato pregnante e impegnativo; il metodo liberale - cioè della libertà, che rompe i vincoli e le cristallizzazioni del potere e del privilegio - è l'unico oggi invocabile: ed è ampiamente contraddetto nella realtà dei fatti, oggi in Italia. «Socialismo liberale» dunque come formula forte e aperta, non come ideologia-etichetta da appiccicare sul vuoto lasciato da vecchie ideologie. Formula forte la cui pregnanza non avrebbe certamente quella di «liberalsocialismo» che evoca richiami non solo legittimi ma nobilissimi, ma anche una combinazione a mezz'aria, e neppure quella di «riformismo socialista» che, mi pare, promuoverebbe il metodo a sostanza. «Socialismo» (finché non troveremo un termine migliore, più appropriato e comprensivo, ma queste cose non si creano a tavolino) definisce una societas semper reformanda, un'eccedenza utopica rispetto alla datità quotidiana, alla politica amministrante e parcellizzante, la positività del conflitto teso verso nuovi equilibri politici, sociali ed economico. Una forma nuova della società. Un'eccedenza positiva: la politica concepita non più come fine, che assorbe e riduce l'elemento umano, personale e comunitario, in un grande crogiuolo, bensì come mezzo proprio a difesa e salvaguardia della persona umana da vecchie e nuove insidie alla sua formazione, libertà, espressione. Una politica limitata, che si auto-contiene appunto proprio in quei «limiti» che ne definiscono però più esattamente, con la sua forma, i compiti e i fini: dunque una politica sempre fortemente orientata, finalizzata, - antropologicamente e culturalmente - . Poiché è ingenuo pensare che l'autolimitazione della politica non continui a confinare, a toccare e a influenzare, altre dimensioni dell'uomo: l'etica, i valori comunitari, i sentimenti, gli orientamenti culturali. Compito della politica è quello di darsi una via media, una misura equilibrata, tra una di-

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