Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 12/13 - gen./feb. 1991

_L)J_I.Bl.\~CO l..X11. nosso P id n11141:tui lt4tiMI Sicilia 1947. e di gestione della microconflittualità, fino a quelle procedure partecipative che forse e senza forse, visto che se ne parla da almeno 15 anni senza nulla spremere, possono utilmente incanalarsi su flessibili meccanismi negoziali, e rispondere in tal modo anche alle spinte che provengono dalle istituzioni comunitarie, pur se, occorre riconoscerlo, con un ben scarso appello, che non sia di mero omaggio di valori partecipativi, non antitetica alla naturale conflittualità inerente allo scambio contrattuale, quando non è esaltato dall'ideologia. 11. Ma anche la costruzione di un nuovo telaio per i processi di negoziazione non è tutto. Un sistema razionalizzato di relazioni industriali non può non spingersi fino all'ultima frontiera, costituita dall'instaurazione di rapporti triangolari, accanto a quelli bilaterali. È il ritorno a forme di concertazione sociale ad apparire inevitabile, se si vogliono dare al sistema fondamenti solidi. Questo non significa che si debbano ricalcare i modelli del 1983 e del 1984. Ma significa, realisticamente, chiedersi se e come sia possibile affrontare il problema della struttura del salario in tutte le componenti e i fattori che vi incidono; realizzare una profonda riforma del pubblico impiego, e con essa il superamento dell'infelice esperienza della legge quadro; proporsi i temi del mercato del lavoro, dell'occupazione e degli strumenti per garantire la continuità e l'ampliamento: se sia possibile mirare a tali ambiziosi obiettivi mantenendo il governo nella condizione del convitato di pietra o di dispensatore non partecipante di quanto occorre per dar efficacia alle intese bilaterali tra le parti sociali. 12. Una nuova costituzione delle relazioni sindacali non si forma in un solo giorno né in una sola tornata contrattuale; non si forma con un negoziato da cui sia del tutto assente il protagonista pubblico, e nemmeno in un rapporto con una sola organizzazione degli imprenditori. Anche il mondo produttivo ha i suoi problemi di rappresentatività. Quanto avviene in questi giorni con la vicenda della metalmeccanica, ne dà la conferma. Abbiamo letto che in ambienti industriali è circolata la domanda, provocatoria, ma sintomatica: se vi sono 3 federazioni dei metalmeccanici, perché una sola Federmeccanica? E va anche riconosciuto che il monopolio rappresentativo da parte della sola organizzazione degli industriali ha sempre meno ragion d'essere a fronte dell'accresciuta importanza dei settori non industriali sia dal punto di vista della produzione come dell'occupazione. È un compito arduo ma importante quello che i nostri sindacati, questi protagonisti forse oggi un po' sospinti ai margini dell'attenzione dell'opinione pubblica, dopo i fasti dell'altro decennio, sono prossimi ad affrontare. Ma da esso dipende una componente primaria del processo di rinnovamento e modernizzazione del Paese. Questa è davvero la prova della verità, onde stabilire se la cultura del riformismo è riuscita a conquistare tutto il settore che storicamente si richiama all'esperienza del sindacato. Ma diciamo di più: è la prova della verità, o almeno una delle prove più importanti per l'intera sinistra italiana. L'esperienza sindacale non può sfuggire ai vincoli della realtà con l'uso degli artifici a cui è così ben addestrata gran parte della nostra classe politica; per esser riformisti, in tale sede, non basta dichiararsi tali, la verifica è tutta nei comportamenti. Professione di riformismo politico e massimalismo o inconcludenza sul piano dei rapporti sociali non potrebbero coesistere, neppure per breve tempo. E se questo riassestamento, che è ideale e di esperienza vissuta nello stesso tempo si svolgerà secondo ritmi veloci, come chiede l'incalzare degli eventi, sarà forse anche maturo il tempo dell'unità: che dovrà essere unità tra diversi, ma ben difficilmente potrebbe resistere, se non fosse anzitutto unità tra i riformisti. I I 7J

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