.QJJ, Bl\~CO \Xli.BOSSO li•IIUll&i#iilit41J1.ii rimozione, e a rivelare, a quanti vollero capire, una vicenda storica di costruzione paziente, tenace e graduale di contratti, di borse del lavoro e di collocamento, di rappresentanze di fabbrica. Ma il nucleo duro della cultura del sindacato, dopo la Liberazione, anche quando acquisì, sia pure al prezzo di gravi sconfitte e di non lievi sofferenze umane, la necessità di una lunga coesistenza con l'avversario di classe, nondimento, nonostante il riformismo praticato da tutte le sue componenti, anche se da pochi professato - e tra questi non possiamo dimenticare il nostro Ferdinando Santi - rimase refrattario all'idea stessa di patti di durata che in qualche modo comportassero un riconoscimento reciproco tra le parti: un metodo che invece aveva segnato e in modo positivo le sorti del sindacato del Nord Europa fin dagli anni '30. E la reazione di rigetto si estendeva verso tutti i tentativi di definizione formale dei rapporti: dalle famose clausole di tregua degli anni '60, rispettate più come spontanea osservanza che come ottemperanza ad un impegno, al rifiuto di stabilire uno statuto negoziale della rappresentanza aziendale, o una distribuzione razionale e formale dei livelli di contrattazione. La stessa politica dei grandi accordi, come è noto, non è durata più di due tornate, ed è storia cosi recente che non val la pena di raccontare. 6. Nel complesso, è consentito affermare che, fino ad oggi, i rari esempi «di costituzione scritta» - con eccezioni come il protocollo lri, che però sembra non funzioni - siano il prodotto di circostanze, o di convenienze contingenti; generalmente, le regole formalizzate, più che volute appaiono subìte in momenti di sfavorevole rapporto di forza: non sono espressione né di una politica né di una dottrina, e costituiscono anche una prassi irregolare. Come già posto in evidenza, la necessità di regole del gioco predeterminate in modo formale appare oggi invece dettata da esigenze più profonde e permanenti. Questa è la sfida degli anni '90, o una delle sfide, che occorre raccogliere se si vuol garantire al movimento continuità e alla sua azione efficacia. Su quali punti dovrà concentrarsi la nuova costituzione delle relazioni sindacali? In un primo luogo, e in via assolutamente pregiudiziale, deve essere affrontato il problema della rappresentatività, ovvero dei criteri per l'individuazione di essa. È soprattutto a tal proposito che il metodo informale o della legittimazione di fatto ha mostrato le corde. In una fase di tendenziale frammentazione degli interessi e della percezione di essi - i fenomeni di ribellismo sono troppo noti per tentare un elenco - , la funzione selettiva garantita in passato dalla mediazione confederale è diventata sempre più ardua, specie nel settore terziario o in quelli ad esso contigui. Né minore allarme destano le manifestazioni di dissenso che trovano un'improprio sbocco nella vertenzialità giudiziaria. Nel pubblico impiego, poi, il legislatore ha fallito il suo scopo. La formula della 'maggiore rappresentatività' in cui si è esaurita la sua fantasia è stata inflazionata da una benevola interpretazione dei giudici amministrativi, mentre la predeterminazione di soglie di accesso al tavolo negoziale realizzata un paio di anni fa non ha prodotto l'atteso sforbiciamento delle affollate e ingovernabili delegazioni. Né è da ignorare, come a dire il vero si tende a fare, il diffondersi di un tipo di conflitto fino a ieri rarissimo, mentre è endemico nei Paesi anglosassoni: vale a dire, il conflitto tra organizzazioni, o gruppi spontanei, che si affermano, e non di rado lo sono, come rappresentativi di interessi specifici nell'ambito delle più vaste categorie o comparti in cui si articola tradizionalmente la nostra prassi contrattuale. E questo è anzi il problema di più difficile soluzione sul piano delle regole formali. 7. La soluzione che viene abitualmente proposta a tutti questi problemi consiste in un richiamo alle regole della democrazia. Ma di quali regole si tratti, non è mai stato detto con chiarezza. Sovente, specie nel linguaggio proprio dell'area comunista, la stessa posizione del problema si diluisce, e si confonde, in una contrapposizione tra democrazia di mandato (buona) e democrazia di ratifica (cattiva), corrispondenti grosso modo alla fase di formazione della piattaforma rivendicativa la prima, e alla votazione di massa delle ipotesi di accordo, la seconda. Ma, se guardiamo oltre queste formule, ci accorgiamo che attraverso di esse vien posto un falso problema, generato da una venerazione eccessiva per la democrazia diretta, e da una_sciatta considerazione dei problemi della democrazia rappresentativa: il problema vero è quello, elementare e primario in ogni forma di democrazia rappresentativa - cui, nonostante la predicazione sessantottina contro la democrazia per delega nessuna gran-
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