Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 12/13 - gen./feb. 1991

B 1.)JJ. BIANCO lX Il. HOS..',O P•d 11 i Muilf4tiMI sotto le bandiere di quest'ultimo, consentendogli di raggiungere livelli di potere negoziale e politico mai conosciute, ma costringendo anche a fare i conti con una condizione altrettanto nuova, di sbilanciamento a proprio favore dei rapporti di forza. Non è questa la sede per discutere se e come esso abbia condotto tale prova: è sufficiente rilevare che qualche errore deve esser stato commesso, se la Triplice confederale, insediata quasi senza opposizioni al governo delle relazioni industriali, riusci a crearsi forti ostilità nell'opinione pubblica e a vedere sorgere i primi fenomeni di forte contestazione tra gli stessi lavoratori. E ciò, nonostante gli indiscutibili meriti acquisiti nella lotta al terrorismo e nella difesa delle istituzioni. 3. Non c'è dubbio comunque, che fino agli albori del decennio ora terminato, il sistema sindacale appariva per così dire sotto controllo. Se crisi vi era, aveva più caratteri di congiuntura che di struttura. Anche il sindacato dei consigli, ampiamente mitizzato nella letteratura di sinistra per le sue reminiscenze gramsciane, partecipative, solidaristiche, fu nella realtà una componente, sia pur sovente dialettica, di un sistema di governo delle relazioni industriali ad impronta nettamente confederale. La crisi di ingovernabilità si presenta più tardi, e trae origine proprio dal mutamento dei due fattori richiamati all'inizio. La riorganizzazione industriale e lo spostamento del baricentro occupazionale nelle imprese di minor dimensione, e soprattutto nel terziario, quello produttivo e avanzato, di pari passo con quello improduttivo e arretrato, mutando profondamente le basi oggettive del sistema sindacale. Dall'esperienza delle lotte agrarie, in cui si formò lo stesso Di Vittorio, a quelle della rapida e diffusa industrializzazione, che trovarono espressione nella funzione guida del mondo metalmeccanico, si passa ad una struttura che non mi indugio a descrivere, anche perché arduo compito è definirla in chiavi sintetiche. Basti riflettere su un dato d'esperienza: fa più notizia, e forse anche più storia, un contratto nel pubblico impiego, che non un rinnovo nell'industria, persino nel contesto della ormai drammatica vicenda dei metalmeccanici. 4. L'altro fattore di crisi consiste nello sgretolamento dei sistemi di solidarietà costruiti sulle ideologie. Se esser comunista o cattolico, o socialista, non genera più rapporti di sponta- - - --- - - - - -- 70 nea solidarietà, vien meno uno dei canali di consenso e di governo del sistema. Sentirsi parte di una classe, condividerne la condizione umana, le speranze e le utopie era il primo passo verso la solidarietà sindacale. Oggi non è questa percezione quella che ispira l'azione dei macchinisti delle ferrovie e della metropolitana romana e dei medici. Qui trionfa la convergenza meccanica degli interessi, la solidarietà è somma di sfere del particolare contrapposte ad altri particolari, e sovente interesse della generalità. Nessun rimpianto, certamente, per il modo leninista di trattare la classe come «massa astratta nella morsa di un'idea astratta» (per usare una felice espressione di Selig Perlman, un autore oggi un po' dimenticato, ma verso il quale ho il non lieve debito intellettuale di aver contribuito a liberarmi, in età abbastanza precoce, dalle spire avvolgenti di cui il gramscismo circondava la nostra generazione). Ma anche rimpianto per il ben più genuino solidarismo che ha accompagnato la storia del sindacato europeo per un intero secolo. Anche se non infiltrata in così forte misura dal particolarismo, diversa è ormai la coscienza operaia nella fabbrica post-taylorista. Non mediata dalle ideologie, non generata dalla forza egemonica delle grandi confederazioni, la solidarietà operaia di un tempo perde i suoi caratteri di istantaneità, e dove si disgrega un tessuto di osservanza spontanea, necessaria diviene la formulazione di chiare regole del gioco, o, per dirlo in altre parole: il passaggio della Costituzione non scritta alla Costituzione formale. Anche a tal proposito, tuttavia, non possiamo prescindere dalla storia. Il sindacato rinato dalla parentesi subì pesantemente l'onda d'urto del rigetto pressoché unanime, da parte dei partiti di classe, della tradizione riformista. E non fu soltanto un'amputazione ideologica e politica. Di tale tradizione era stata parte rilevante, anche se deliberatamente cancellata dalla memoria del movimento, un forte grado di 'istituzionalizzazione' dei rapporti sindacali, segnata da esperienze contrattuali e di gestione del mercato del lavoro: una somma di esperienze seconde solo a quelle della socialdemocrazia tedesca. Ma l'egemonia culturale gramsciana impose il dogma, per cui la sola tradizione valida sarebbe stata quella, peraltro fallimentare, dei consigli di fabbrica e dell'Ordine Nuovo. E fu solo un'indimenticabile lettura di Angelo Tasca negli anni '50, a consertirci di attraversare la coltre di questa grande

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