Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 12/13 - gen./feb. 1991

B _p_J.1, BIANCO . \Xli, HOSSO il•P 1i1li4i\ 11 •1fi"iii Lavoropubblicoe privato: un dualismo da superare di Gian Primo Cella Sindacalismoconfederaleo post-confederale Sui temi attuali del sindacalismo, specie sui rapporti con il pubblico impiego, esistono nel1'opinione di osservatori e protagonisti almeno tre tesi. La prima la potremmo definire quella del «sindacato che dovrebbe ma non può», ovvero del sindacato come freno al mutamento necessario. La seconda riguarda una presunta fine del sindacalismo confederale, e il diffondersi accelerato ed inarrestabile dei sindacati particolaristici, «corporativi». La terza fa leva sulla insostituibilità dei sindacati confederali come agenti della trasformazione. Le motivazioni di queste tesi sono scontate solo in parte. La prima, quella dell'ostacolo non è comune solo nell'opinione di destra, più o meno venata da ambizioni neo-liberiste. La seconda non considera solo il lato «ignobile» della diffusione dei micro-interessi particolaristici. La terza non è animata solo dal sostegno del riformismo «nobile» delle confederazioni. Le cose sono più complicate. Tuttavia, anche se le tesi correnti non sono chiare e adeguatamente motivate, da esse è necessario partire. In questa occasione mi rivolgerò alla terza tesi, per confortarla ma anche per scuoterla, pur con l'intenzione prevalente di controbattere la seconda. Con la prima tesi, ovvero con chi non coglie la necessità della protezione sociale, e dell'organizzazione della solidarietà, per il mantenimento della struttura degli assetti liberal-democratici non è qui importante dialogare. Razionalità sociale e razionalità individua/e Occorre dire subito che sulle trasformazioni del settore pubblico, e sui rapporti fra pubblico e privato, è in gioco il presente ed il futuro del sindacalismo confederale, nella versione che si è affermata nella nostra esperienza nel corso dell'ultimo trentennio. Una versione che solo in parte è frutto di una tradizione di debolezza sindacale e di esposizione alla politica. Un sindacalismo che è piuttosto ascrivibile alle aspirazioni, ed alle prassi rivendicative e organizzative, della grande tradizione sindacale riformista europea. L'incertezza di questo futuro è per molti aspetti il nostro punto di partenza. Non credo alla plausibilità delle ipotesi sull'avvento di una società «post-sindacale», qualcosa invece mi fa intravedere la possibilità non tanto remota di una società, per così dire, «postconf ederale». Su questa possibilità è necessario riflettere. Contro questa possibilità, ritengo, è necessario muoversi. Ma perché è da salvare il sindacalismo confederale? O, meglio, che cosa c'è da salvare nel sindacalismo confederale? Innanzitutto, le possibilità di rappresentanza che esso fornisce alle categorie più deboli, con scarso potere di mercato. Tale carattere è spesso solo una potenzialità, e sono molti, troppi, i lavoratori deboli che non vengono ammessi alla «borsa» delle relazioni pluralistiche. Tuttavia solo il sindacalismo confederale presenta questo carattere. Ma da salvare c'è anche la possibilità di perseguimento di obiettivi generali, e la disponibilità ad agire secondo l'etica della responsabilità. Il sindacato confederale, nel suo assieme, non può mai sentirsi al riparo dalle conseguenze delle proprie azioni. La sua rappresentanza a largo spettro, gli impone anche l'assunzione di obiettivi di interesse generale. Per stare al nostro tema (i rapporti fra pubblico e privato), ad esempio, sono solo le confederazioni a poter tener conto, almeno in modo indiretto, degli interessi degli utenti dei servizi. Il sindacalismo confederale può inoltre tendere a diffondere ed a sostenere giudizi e valu-

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==