{)li. Bl.\:\CO '-lL11. nosso iiidUIIM#titiit-4tiMI cuperare il loro ruolo primario, che è quello di rappresentare, di essere e di essere percepiti quali interpreti e giusti ordinatori (ciascuno secondo la sua idea di giustizia) dei bisogni dei cittadini. Meno spazio per decidere al posto dello Stato, più spazio per rientrodurre, per ricercare, per far valere le culture collettive la cui diffusione e il cui consolidamento sono, in realtà, la loro principale ragione d'essere. I partiti non sono infatti giustificati per il fatto che hanno tot potere di nomina su tot enti pubblici: sono giustificati se ed in quanto sappiano far scorrere nella collettività una cultura, un'etica che serva ad essa per identificare dei traguardi, per distinguere un futuro desiderabile da un altro futuro meno desiderabile. L'etica non sarà più quella degli anni della dicotomia padronato - tute blu, però di valori etici su cui costruire il proprio tessuto e su cui darsi un futuro, questa società industriale avanzata eccome se ha bisogno! Quante cose sentiamo dire che non ci convincono e non ci convincono per ragioni che sono prima etiche che non civili e organizzative. Quante scemenze si dicono, ormai, all'inizio degli anni '90, sugli eccessi di garantismo dello stato sociale. Ma quali sono esattamente gli eccessi? Quelli degli anni '70? Ma chi oggi frequenti il nostro sistema sanitario in certe regioni d'Italia, chi veda le condizioni in cui vivono molti anziani, chi veda la disoccupazione che ancora c'è in molte parti del Mezzogiorno, chi veda come vivono gli extracomunitari che sono venuti nel quinto paese industriale del mondo a cercare qualcosa di meglio di quello che avevano nei loro paesi, dove li trova gli eccessi di garantismo? Di sicuro c'è un problema di riorientamento delle garanzie a favore di stati di bisogno oggi disconosciuti, non visti, ignorati, cinicamente lasciati da parte, mentre perdurano invece garanzie che non hanno più alcuna giustificazione giuridica, finanziaria e, prima ancora, etica. Ma lo Stato sociale - e lo spirito solidaristico che lo dovrebbe nutrire - sono un bisogno perdurante e largamente inappagato proprio dove lo si sente di più. Non è un partito progressista, è solo il più cinico dei partiti pigliatutto quello che non vede altro che i diritti dei cittadini. Certo che tali diritti vanno affermati! Ma ci sarà ancora qualcuno che ha anche dei doveri e ci sarà un partito che troverà la forza di dire che oltre ai diritti esistono anche i doveri! Perché qualcuno li ha e forse tutti li abbiamo; in misura diversa, ma tutti li abbiamo. Frugando fra le vecchie carte socialiste me ne è venuta davanti una che mi sono annotato. È un vecchio giornale dell'inizio del secolo che parlava del 1 ° Maggio, di questa festa - diceva - nella quale i lavoratori vivono la speranza di una società che sarà un giorno più giusta. E aggiungeva: nei campi, nelle officine, nelle scuole, nelle aule della scienza, si sogna quel giorno nel quale tutti saremo più liberi, uniti nel dovere ed eguali nei diritti. "Uniti nel dovere". C'era questo accanto agli eguali diritti, e c'era perché l'etica del vecchio socialismo sapeva .identificare anche lo spazio del dovere come spazio del nostro essere sociale. Ebbene questo, con contenuti sia pure diversi, è vero oggi non meno di allora: se una cultura collettiva che lo fa valere non viene affermata in primo luogo dai partiti, se continueranno a dilagare i diritti di ciascuno che non riconoscono i diritti degli altri, quale riforma istituzionale riuscirà poi ad essere davvero efficace? Non si preoccupino quindi i partiti. Farli arretrare dalle istituzioni non significa cancellarli, significa dare loro una chance di essere ciò a cui più e più utilmente possono servire. E qui è la conclusione del disegno. Ma come si fa a realizzarlo? La proposta di creare istituzioni dotate di una diretta autorità democratica sta guadagnando consensi. Quindici anni fa ne furono promotori alcuni di noi, poi divenne la proposta dell'intero partito socialista, ora anche altri cominciano a considerarla la strada da seguire. Ma il tempo passa e se ci sono voluti quindici anni per arrivare a questo punto, non ce ne possiamo permettere altri quindici perché maturino nella società politica i consensi che probabilmente già sono maggioritari nell'opinione pubblica. Se, entro i prossimi mesi, non si dovesse arrivare ad un consenso parlamentare su queste cose, allora davvero io non vedo altra strada se non un referendum propositivo che chieda ai cittadini italiani se vogliono ancora il plus potere dei partiti, se vogliono invece gli anti-partito, o se vogliono istituzioni da loro dipendenti e verso di loro responsabili. In fondo dobbiamo andare a votare nel 1992: se in occasione di quel voto fossimo chiamati ad esprimerci sul futuro delle nostre istituzioni, forse, dopo quello del 1946, sarebbe il voto più importante nella storia della Repubblica.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==