Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 12/13 - gen./feb. 1991

B {)JJ, BI.-\ NCO (.l(_11.nosso ii•d 1i1MitlitAtiij I chiede di cancellare e di ridimensionare. In base ad essi, infatti, non è vero - come invece si dice - che sono i cittadini a scegliere chi governa; i cittadini continuerebbero a scegliere partiti e i partiti vedrebbero addirittura esaltato il loro potere di negoziato reciproco ai fini della formazione delle coalizioni, della presenza in esse, della scelta dei governanti e della stabilità dei governi. L'ho già detto e lo ripeto: lo scontro su questo sarà duro, come è duro tutte le volte che una soluzione innovativa si scontra con una soluzione talmente conservatrice e talmente protesa a salvare il passato da usare qualunque arma o qualunque argomento per farsi valere. La paura del Presidente eletto dal popolo non è forse la paura di alcuni partiti di perdere i monopoli che si sono sin qui conquistati? - Le autonomie locali E passiamo al secondo capitolo delle riforme necessarie per dare, insieme, alle nostre istituzioni più autorità e maggiore responsabilità verso i cittadini. Il capitolo è quello delle autonomie: lo Stato non funziona perché è schiacciato dai partiti, ma anche perché c'è un sovraccarico di competenze e di responsabilità che ricadono tutte sul centro. Se la società è complessa deve essere complessa anche la sua organizzazione ed è essenziale perciò che una serie di responsabilità siano affidate alle Regioni e ai Comuni. E qui, se vogliamo che i partiti rischino rinunciando a una quota del proprio potere, è necessario che rischino tutti, compresi i sindacati. Perché devono rischiare anche i sindacati? Perché non è possibile costituire responsabilità autonome sul sistema sanitario reso regionale e locale, o sui servizi pubblici di competenza locale, se i contratti relativi al personale sanitario e dei servizi pubblici locali sono contratti nazionali. Se il principale fattore che incide sui costi di quei servizi e sulla loro organizzazione continuerà ad essere regolato da una sede della quale non portano alcuna responsabilità gli amministratori regionali e locali, rimarrà una ibridazione che consentirà nunc et semper di non trovare mai il responsabile e di non avere quindi quella frusta essenziale che è la responsabilità che si paga col voto, dal Capo dello Stato con poteri di governo in sede nazionale, agli organi regionali e locali in sede locale. E poiché noi dobbiamo costruire uno Stato che abbia delle responsabilità anche al suo in- - - --- - --- -- <,3 terno, dobbiamo forse prendere più sul serio di quanto tutti abbiamo preso fino ad ora l'idea di Filippo Cavazzuti, per quanto riguarda i contratti nazionali del settore pubblico: contratti che non sono e non saranno seri, fino a quando la controparte è rappresentata dai ministri della Repubblica. Non perché i ministri della Repubblica non siano persone serie, perché talora lo sono, ma perché essi dispongono, nel loro ruolo istituzionale e politico, del portafoglio di tutti i contribuenti e si possono sempre rivolgere al Parlamento per coprire l" 'in più" che a volte viene loro strappato, altre volte sono loro ad offrire. Questo deve finire e perché finisca occorre che ogni unità amministrativa abbia il suo bilancio e che siano i responsabili delle unità amministrative a negoziare con i sindacati e a farlo separati, uniti, con una contrattazione in parte unitaria e in parte decentrata (il disegno, sotto questo profilo, può rimanere quello della legge n. 93). Io non credo ai saggi, in questa materia: i contratti non li devono fare i saggi, perché il contratto è dialettica e conflitto tra chi ha un interesse di un tipo e chi ha un interesse di un altro. E se da una parte c'è l'interesse dei lavoratori, dall'altra c'è l'interesse dell'organizzazione, dell'amministrazione e deve essere perciò l'amministrazione a rappresentare la controparte contrattuale. 8. Necessità di nuovi valori etici. Voglio chiarireun ultimo punto, che non è tuttavia marginale. Non ho svolto questi argomenti con spirito ostile ai partiti (e come potrei farlo, nella mia veste attuale?). I partiti li ritengo ormai dei malati, dei malati pericolosi, che, avendo perso la capacità di rappresentare e orientare gli interessi che fanno capo a loro, cercano per compenso uno spazio all'interno dello Stato che è sempre maggiore, ma sempre più li delegittima, sempre più li fa odiare, sempre più mette a repentaglio una democrazia che continui ad averli tra le sue fondamenta. Ritengo perciò giusto, utile che ciascuno di noi sia chiamato a votare per le istituzioni; che la maggioranza si costituisca intorno ad un'alternativa che sta nelle istituzioni e non soltanto nei partiti; che i partiti siano costretti ad inseguire una maggioranza che si forma nell'elettorato e non nelle coalizioni precostituite dai negoziati delle loro segreterie. Questo lo faccio, tuttavia, anche perché penso che i partiti debbano re-

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