i.lll. m.\,l(:o \Xli. ll(>S.',O ii•dhiiMJ.ii11iit411 Mi tante elemento comune: in essa è il partito, lo disse Gramsci, che deve educare, abituare, fare del cittadino un funzionario in luogo di uno Stato che non assolve a questo compito. Insomma, per i comunisti lo Stato è il partito, per La Pira e per Dossetti lo Stato è la famiglia, la Chiesa, la scuola; per nessuno di loro lo Stato è lo Stato. I socialisti, che avrebbero avuto un grande spazio e una grande responsabilità, assolsero ad un ruolo marginale all'Assemblea Costituente, e la cultura laica, nel suo insieme, non riuscì a farsi valere, anche perché troppo spesso rivolta più al passato che al futuro. 4. Lo Stato: dal pluralismo dei cittadini alpluralismo dei partiti. In questo contesto ha effetti determinanti e duraturi la vicenda contingente che ricordavo prima, una vicenda che non ha eguali in nessun paese d'Europa, neppure in quel momento tragico: lo Stato fugge e sono i partiti che fanno funzionare le cose, éhe si assumono nobilmente e utilmente per la società italiana il compito di darle una guida e di darla degli apparati sui quali contare. Sono i partiti del Comitato di Liberazione Nazionale che, davanti ad uno Stato che scappa, lo sostituiscono, dalle più alte funzioni politiche alle più banali funzioni amministrative. Il funzionamento delle aziende del latte, del gas, dell'elettricità, nei comuni italiani nel periodo che va dal '43 al '45 diventa una responsabilità dei partiti e allora nessuno si lamenta della lottizzazione delle nomine: il gas, il latte, l'acqua, l'elettricità arrivano perché ci sono uomini dei partiti che si occupano di farli arrivare. Questo dà una fortissima legittimazione storica al ruolo che vengono assumendo i partiti in quel momento, una legittimazione che diventa culturale e istituzionale a causa di tutte le ragioni che ricordavo prima: essi sostituiscono uno Stato che non c'è e che, in fondo, potrebbe anche non esserci. Riflettiamo sul modo in cui la Costituzione li riconoscerà e sul modo in cui sarà subito inteso questo riconoscimento. La nostra Costituzione parla dei partiti in un articolo, l'art. 49, nel quale dice, testualmente, che tutti i cittadini hanno diritto di concorrere attraverso i partiti alla determinazione della politica nazionale. L'articolo non sta nel capitolo sulla organizzazione dello Stato, sta nel capitolo sui diritto dei cittadini e dice che sono i cittadini che hanno diritto di concorrere. E tuttavia, a partire dal giorno do- : ,,o po l'entrata in vigore della Costituzione, salvo qualche discussione sul rapporto tra singolo e partito, il significato che verrà dato a quell'articolo è che esso, usando la parola ''concorrono'', sancisce il pluralismo dei partiti. Attenzione, l'articolo sancisce davvero il pluralismo dei partiti, però non è questo il suo significato principale, giacché il "concorrono" ha per soggetti i cittadini e non i partiti. Ma nell'ottica della cultura di quegli anni diviene automatico dire che quel "concorrono" riguarda i partiti, e parlare perciò di pluralismo dei partiti, non di pluralismo dei cittadini. Con questo significato l'articolo viene di fatto trasferito nella parte sull'organizzazione dello Stato e nella realtà è all'interno di questa che i partiti si verranno sempre più collocando. C'è da chiedersi se, per definire il loro ruolo, non sarebbe più proprio un lessico diverso da quello dell'art. 49. Ad esempio, "i partiti sono le forze che dirigono e indirizzano la società, il nucleo del suo sistema politico, delle organizzazioni statali e sociàli. I partiti determinano le prospettive generali di sviluppo della società e la linea della politica interna ed esterna". Non è una formula più adatta, più rispondente alla nostra realtà? Lo è, ma si tratta di una parafrasi dell'articolo 6 della vecchia Costituzione sovietica, quello che definiva i compiti e le responsabilità del PCUS e diceva infatti: "il Partito Comunista dell'Unione Sovietica è la forza che dirige e indirizza la società sovietica etc.". Torno a dire: quando in questi termini cominciò la nostra storia post fascista, vi fu una assoluta e incontestata legittimità storica del ruolo dei partiti. Quel che va sottolineato è che non si trattò di una parentesi, ma dell'emersione di tendenze profonde, che allora si radicarono e che da allora presero piede, rendendo sempre più difficile anche per il futuro la formazione di quella coscienza statuale che in passato non si era formata. 5. Crisi dei partiti e crisi istituzionale. Pensiamo a un episodio di tanti anni dopo, la morte di Moro: in quale paese che abbia in sé una cultura dello Stato avrebbe mai avuto senso dire che lo Stato lo si negava e lo si metteva a repentaglio se, per salvare la vita di un uomo, si fosse negoziato in qualche modo con i terroristi? Non sarebbe venuto in mente a nessuno, perché qualunque Stato che esista e che sappia di essere forte come tale, sa che non mette a repentaglio sé stesso se, per salvare la
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