Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 12/13 - gen./feb. 1991

i>ll. BIANCO lX11.nosso li iii 11 i 14i#itl lt411 M i dio e di divaricazione verso le estreme, mentre invece esso darà luogo esattamente all'opposto. Ricordato tutto questo, che non è assolutamente nuovo, il punto importante al quale vorrei arrivare è il seguente: il fenomeno della trasformazione dei vecchi partiti di massa in partiti che diventano macchine del consenso, che perdono capacità direzionale, che si attaccano a tutti gli interessi che possono essere utili per far voti, è un fenomeno che si verifica in tutte le società industriali avanzate. E se in alcune non si verifica non è perché non ci sia il partito pigliatutto, ma perché addirittura non c'è mai stato il partito di massa ideologico e c'è stato invece, fin dall'inizio, un partito, se non pigliatutto, scarsamente selettivo nella scelta delle sue aree sociali. Quel che è certo è che, in un modo o nell'altro, il fenomeno riguarda l'Italia come riguarda la Francia, la Germania, gli Stati Uniti, la Danimarca. Naturalmente, dove c'è bipartitismo, il partito riesce a conservare di più caratteristiche che somigliano di più ai tradizionali partiti di massa di quanto non gli somiglino i comunisti italiani, o i socialisti francesi e italiani, o gli stessi socialdemocratici tedeschi. Però il fenomeno - ripeto - è generalizzato. 3. La difficile formazione di una coscienza statuale. Ebbene, se così è e se - riflettiamoci - è proprio a queste caratteristiche assunte dai partiti che noi riconduciamo le ragioni e le radici della crisi istituzionale che stiamo attraversando in Italia, a una domanda dobbiamo rispondere: perché in Italia la crisi dei partiti (o di un loro modo d'essere che ci parve fisiologico ed essenziale) genera addirittura una crisi istituzionale e altrove ciò non accade? In altri paesi tutto ciò determina difficoltà di governo, ha portato e continua a portare all'elaborazione e alla concreta verifica di teorie sulla naturale debolezza dei governi in una società democratica, sul loro galleggiamento tra interessi diversi e così via. Ma nessuno pensa a passare alla seconda Repubblica negli Stati Uniti, alla seconda monarchia in Inghilterra, a un nuovo regime nella Germania Occidentale o in Francia (ma la Francia, per la verità, il cambiamento lo fece anni addietro). Se in Italia una fenomenologia generale dà luogo ad un effetto così grave e così specifico, in Italia ci deve essere in campo qualcosa di più e qual- -- - - - ----.. - - - - - 59 cosa di più specifico rispetto a quello che ho detto sinora. Il qualcosa di più e il qualcosa di più spe_cifico sta in questo, sta nel fatto che in altri paesi è esistito, esiste, ha un suo spessore di autorità lo Stato, ovvero l'insieme delle istituzioni che, attraverso una serie di circuiti, riescono ad avere nel consenso collettivo fondamento e radici non interamente mediate dai partiti. In Italia questo spessore, queste radici lo Stato non le ha mai avute. E quell'esile Stato che avevamo, nella travagliata vicenda che portò alla nostra Repubblica si squagliò, si squagliò come si squagliano i gelati e come si squagliano i fuggitivi. Prese infatti le gambe e andò al sud, fuggì dai nazisti e lasciò quel che c'era da fare nelle mani e alla responsabilità dei partiti. Fu in quel momento che una serie di nodi della nostra storia vennero al pettine e lasciarono sul pettine tutti i loro intrichi. Venne al pettine il nodo di uno Stato risorgimentale che non si era mai radicato nella coscienza dai ceti popolari, rimasti estranei alle sue aspirazioni e ai suoi sviluppi, uno Stato che rispondeva ad una necessità nazionale e che tuttavia riuscì a farsi sentire e condividere dai soli ceti elitari. Venne al pettine il nodo di una pubblica amministrazione che, a differenza di quella francese, inglese o anche tedesca, non era riuscita e non riesce del resto tuttora a diventare istituzionale, ad incarnare nel bene o nel male quella continuità di azione pubblica nella quale i cittadini riescano a ravvisare un interlocutore che realmente rappresenti la stabile presenza dello Stato. Venne al pettine il nodo della. peculiare cultura delle forze che avrebbero costruito lo Stato repubblicano, una cultura più spesso antistatuale che statuale. La cultura, da un lato, di La Pira che è, con Dossetti, un artefice essenziale della Costituzione repubblicana, il quale nega la validità dello Stato uscito dalla Rivoluzione Francese perché ha distrutto associazioni e formazioni sociali e vuole, non solo che vi sia spazio per tali formazioni, ma vuole in pri~ mo luogo che sia affermato e stabilito il principio di sussidiarietà: lo Stato deve avere soltanto quei compiti a cui non possono assolvere la scuola cattolica, la famiglia, la Chiesa. Lo Stato viene dopo e assolve soltanto ai compiti residuali. Dall'altro lato, su un versante completamente opposto, c'è una cultura comunista che ha però con quella cattolica un impor-

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