Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 12/13 - gen./feb. 1991

fase tutta nuova, con fortune e disastri differenti: il prestigio dei gran nomi, degli avi illustri, dei titoli è dileguato, e la nobiltà consiste nel far più o meglio degli altri: non si consente più ad una classe il monopolio dei vantaggi, ad un'altra quello dei pesi della vita. La scienza applicata alle arti scema la distanza fra il ricco e il povero, fra l'intraprenditore e l'operaio. La plebe reca in mezzo i suoi diritti, il suo giudizio, il suo sentimento. V'è forse ingiustizia quando domanda salari meglio proporzionati al progresso civile, ai rincarati cibi, ai diffusi raffinamenti della vita? [... ] Una volta era quasi solo il clero che provvedeva all'educazione del popolo: ma i Governi vollero trarre a sé questi uffizi morali, che non sono di loro competenza. Io son lontano dal desiderare che il Governo infligga i suoi maestri a tutti, confischi le menti a imparar quel ch'esso decreta. Bisogna i genitori sentano il dovere di far istruire i loro figliuoli, per quanto lo comportano i loro mezzi, o quelli procurati dal Governo e dalla carità. Io prediligo le scuole d'adulti, i quali le frequentano perché ne capiscono il bisogno; ed io ed altri manifattori ritagliamo qualche ora perché i nostri lavoranti imparino. Mentre prima i giovani, dopo la croce santa ABCD, si istruivano quasi unicamente nello scrivere e parlar corretto e nel buon gusto, ora si moltiplicano le scuoletecniche per avviare a mestieri e professioni industriali, dando la storia e l'analisi delle sostanze che si adoprano, la confezione delle macchine, la misura delle forze, insomma cognizioni speciali. Più che l'avere scuole importa l'averemaestri abili, non bottegai dell'istruzione. È un'arte, la prima delle arti, e vuolsi incoraggiarla e onorarla; bisogna che chi vi si destina v'abbia vocazionespeciale, pazienza, interesse: non nominar provveditore uno perché spretato, o del tal partito né maestro perché garibaldino o emigrato. I metodi poco importano; quel che importa è cheil maestro dia cognizioni poche ma chiare e sicure e in modo vivificante; che, rispettando nel fanciullo la natura umana, ne svolga i migliori istinti, formi al pensare forte e giusto; più che rendervasto lo spirito colle molte cose, lo renda grande colle grandi cose, coll'avvezzar a riflettere, a giudicare, so- {)Jt BIANCO O(ILROSSO 111Hii 11 ii 111 prattutto ad esseregalantuomo. Buona quell'educazione che la mente, il cuore, i muscoli sviluppi armonicamente, e ponga in giusto equilibrio l'istruzione colla pratica. Di un paese io non domanderei quante scuole abbia; bensi quali sono i maestri, qual diasi intelligenza e morale agli operai, quanto abito di mettere in pratica le cognizioni acquistate; quanti si abbattano degli errori, che nuociono più dell'ignoranza; quanti si formino uomini, che sarebbero stati selvaggi e bruti; come si salvino dalle ipocrisie dentro, e fuori dell'assolutismo sia governativo o rivoluzionario; quanto vi si propaghi la luce della verità. L'operaio, oltre le cose di necessità, può studiarne altre o per passatempo o per inclinazione naturale o pel suo mestiere. Può aggiungere all'abilità le grazie, al risparmio l'eleganza; prefiggersi di dare a' suoi prodotti rifinitura per l'occhio; quella stoviglia formata elegantemente, quegli alberi disposti e tagliati con simmetria, quel disegno di stoffa ben combinato, colorito armonicamente. Quanto non lo migliorerebbe la riflessione, applicata ad ogni cosa; a questo sole che scalda, illumina, anima, attira, alle nebulose da cui germogliano nuovi mondi, come alla tarma che rode il panno! Soprattutto poi dovrebbesi aver in vista che ogni dottrina manca di scopo se non mena ad una virtù più elevata». [... ] «Ma se non si studia, se non si legge molto, come si faranno progredire il sapere e l'arte?» tornò su il signor Imbivere. E lui: «La divisione del lavoro fa che alcune intelligenze distinte si dedichino specialmente alla ricerca del vero, all'espressione del bello. Sarebbe impossibile v'attendessero gli operai. L'intelligenza adoprano questi a dirigere ed esercitar l'uffizio delle braccia e dei muscoli, ma non per questo deve alcuno restar escluso dal piacere di cercare, dalla felicità di scoprire. L'intelligenza è data a tutti, come la vista e l'udito; e verità importantissime possono sfavillare da un fondo limitatissimo di cognizioni. Quanti operai si elevarono a grandezza! Erano pastori della Mesopotamia i primi che acquistarono cognizione degli astri e dei loro movimenti. Quintino Matsys belga faceva il ferraio, e poiché la sua debolezza gli impedi quell'arte faticosa, egli si pose a formare ornamenti e gingillini di ferro, poi a colorire i santini, che i frati distribuivano al popolo, e cosi vi divenne famoso pittore col nome di ferraio d'Anversa. Lo Schiavone imbiancava camere, finché il Tiziano ne conobbe il merito e lo tirò con sé. Polidoro e Michelangelo da Caravaggio preparavano l'intonaco su cui doveansi dipingere a fresco le loggie vaticane, e si innamorarono della pittura, e vi divenner famosi. Claudio di Lorena, un de' più lodati paesisti, era garzone pasticciere, e tanto per andare a stare a Roma si allogò per servo a un pittore e gli macinava i colori. A Milano Carlo Bellosio dipingeva di verde le scranne da contadini, facendovi qualche fiorame sulla spalliera, poi messosi al disegno, fu dei meglio pittori del nostro tempo (1801-1841); Angelo Pizzi (1775-1819) macinava i colori del pittore Appiani, e divenne eccellente scultore. Lorenzo Bartolini toscano, rigeneratore della scultura (1777-1850),dovette in gioventù lavorare da magnano, poi da sarto, da vetraio per guadagnarsi il vivere: si allogò da un lavoratore d'alabastro, sonò, cantò per le strade, insomma applicavasi ad ogni artifizio, pur di potere applicarsi a disegnare: aiutò uno stovigliaio a Parigi, affinché gli desse il vitto, e inoltre la creta per far un modello di statua che presentò al concorso, e cosi si fece conoscere e cambiò sorte. Metastasio cantava per le strade. Da tappezziere lavorava Molière e non sapeva né leggere né scrivere, quando, condotto a teatro, vide una Commedia, se ne senti ispirato, e divenne il più famoso drammatico. Era figlio d'un libraio G.B. Vico, il maggior filosofo italiano. Fu lungamente tessitore di seta Giovanni Dollond inglese (1706-1761),che poi, divenuto ottico, inventò per cannocchiali e telescopi le lenti acromatiche, cioè dove ai margini non si forma l'iride. Quanti muratori, partiti gamba gamba dai laghi di Como e di Lugano colla cazzuola e il pialletto, riuscirono illustri pittori stuccatori, architetti! Le classi agiate hanno maggior comodo d'istruirsi, non essendo costrette a provvedere ai primi bisogni della vi-

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