B {)JL BIANCO ""-IL ROSSO • ititiiii Miii «La questione operaia» di Cesare Cantù «Savino Sabini, nato a Napoli il 1815 da Colantonio e da Giuannella Starrabba, operaio, statura alta, capelli neri, occhi castani... Cosi leggevo sul mio passaporto». E cosi comincia nel 1871 il primo romanzo popolare nell'Italia unita, che ha per protagonista un immigrato dal Sud al Nord industriale. Comincia anche la storia della classe operaia in letteratura. E comincia per opera di un industriale, Alessandro Rossi, da Schio, il fondatore della Lanerossi, e di uno scrittore lombardo, CesareCantù, storico di successo e soprattutto fortunato autore di manuali di pedagogia. Egli fu, tra l'altro, ideatore e realizzatore di una gigantesca "Storia Universale", in più di 20 volumi, scritta in modo popolare epedagogico, con lo scopo dichiarato di far crescere nel popolo la conoscenza della storia degli uomini. Il libro, intitolato «Portafoglio di un operaio» (Ed. Giacomo Agnelli, Milano, 1871) è uno dei più importanti esempi di letteratura del campo moderato e del cattolicesimo liberale. È anche la mappa, piena di preziose notizie, del «decollo industriale» del Nord, dell'incipiente polemica contro il parassitismo burocratico dello Stato centrale, contro l'assenza di politica economica e contro il crescere abnorme del debito pubblico. Pubblichiamo di seguito stralci del capitolo «La questione operaia». P iù che la caccia e la pesca, più che la lettura, più che le sconvenienti emozioni. del teatro, ho sempre amato la conversazione di persone oneste e che sanno. Pensate come fui beato allorché a far visita al signor Edoardo venne Alessandro Rossi. A Schio egli tiene una delle maggiori fabbriche di lanerie, vi introduce tutti i miglioramenti possibili, e, padre de' suoi dipendenti, usa beneficenza ma non quella che dona a molti e non accomoda nessuno; considerando la posizione sua non come un mestiere ma come un esercizio di virtù umana e di civiltà ingegnose, fa al paese e all'Italia tutta maggior bene che farraginosi patrioti e ambiziosi governanti. A guardarlo, si vede ch'egli pensa, chi sa a quante cose? Ai ragionamenti ch'egli faceva col nostro principale io prestava un'attenzione devota, ché non avrei voluto perdere una sillaba. [... ] Una sera specialmente posero sul tappeto la questione operaia, e mai io non avevo sentito dipingere così al vero la nostra condizione. «Sapete (diceva il Rossi) come una volta fosse ogni arte legata in corporazioni e maestranze. Parvero puerili queste sollecitudini; si dichiarò ingiustizia il privilegio dato ad alcuni di lavorare; si acclamò non darsi fra gli uomini altra differenza che delle qualità personali e della capacità attestata coi servigi: libertà a ciascuno di sviluppare le proprie facoltà, di attendere a qualunque arte, la sapesse o no, in paese o fuori; libertà a tutti d'intraprendere manifatture, e quindi una illimitata concorrenza di operai e di industriali, che non cercarono più se non superarsi colla maggiore e miglior produzione e col minor prezzo. Lo spaccio delle merci si fece più attivo e lucroso; s'accumularono i capitali, mediante l'associazione; la ricchezza aumentata creò nuovi bisogni di consumazione, e quindi di produzione; e l'industria acquistò importanza per lo meno eguale all'agricoltura, massime dacché vi si applicarono tante macchine. Tolto ogni impaccio e quasi ogni protezione ai lavori e commerci, proclamato il libero scambio, levati i limiti all'usura, tutti si volsero ad acquistar il denaro, rappresentante de' godimenti e delle distinzioni; coll'associazione si 51 costituirono gigantesche aziende, a fronte delle quali non potevano reggersi il piccolo industriale, né tampoco il piccolo possiedente. Costretti ad abbandonare la loro posizione indipendente, questi si ridussero anch'essi lavoranti a giornata, a cottimo, a opera, scomparendo così in gran parte, se favorevoli circostanze non s'accompagnino, la classe media, che dev'essere il nerbo dello Stato, e crescendo quella de' nullatenenti, il cui vivere dipende dalle vicissitudini del commercio. Gli economisti con egoismo analitico han proferito: 'il valore d'una merce si misura dalla domanda e dall'offerta; la legge generale è la concorrenza: dunque ciascuno fabbrichi il più e meglio che può, e al minor prezzo; il salario crescerà o diminuirà o cesserà secondo che al capitalista gioverà di far lavorare o no; il capitalista deve parificare con chicchessia di fuori il suo denaro: il direttore dev'essere, come tutt'altri al di fuori, abilissimo, né potrà venir meglio retribuito: abilissimi i capi, abilissimi gli operai. Pei salari poi è una questione di cifre; le cifre che sono i fattori, a noi son note: sommare
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