B iii•ii••d provati quasi all'unanimità. Ma torniamo alla vicenda del decreto legge: una vicenda ancora lontana dalla conclusione al momento in cui scriviamo. Ma alcune cose sono ormai del tutto chiare e inequivocabili. La prima è che si è fatta una gran confusione: scaricando sull'ordinamento carcerario colpe che non sono affatto sue. Come gli arresti domiciliari al terrorista Maietta «per motivi di studio», concessi dalla Corte d'Assise subito dopo averlo condannato in primo grado a 27 anni di galera: provvedimento aberrante per il quale il Procuratore generale della Cassazione ha avviato opportunamente procedimento disciplinare contro il presidente di quella Corte. Come le scarcerazioni di decine e decine di fior di criminali o per decorrenza termini di custodia cautelare o per decisioni quanto meno discutibili della Suprema Corte, comunque a seguito di provvedimenti in corso di processo che nulla hanno a che fare con le norme penitenziarie, le quali riguardano solo i condannati definitivi, con sentenza passata in giudicato. Quando Andreotti dice che le nostre carceri hanno le porte girevoli, può anche dire qualcosa di esatto. Ma se la prenda prima di tutto con la lentezza insopportabile dei processi. Ora la confusione fra scarcerazioni dovute alla procedura processuale, decise dai giudici procedenti, e scarcerazioni dovute ai «benefici» previsti nell'ordinamento penitenziario, decise dai giudici di sorveglianza, è da addebitare, sì, alla superficialità e alla disinformazione di una parte dei media ma anche a un disegno politico preciso: far pensare alla gente che le disfunzioni, diciamo pure gli scandali, della nostra giustizia dipendano soprattutto, se non proprio esclusivamente, dal lassismo nei confronti dei condannati, da una legge penitenziaria «di nobile ispirazione», ma irrealistica e pericolosa. Fa parte di questo disegno la personalizzazione insistita e insolita sul mio nome, quasi a indicare un capro espiatorio. Ciò che è contrario non solo alla verità formale - legge dello Stato, approvata da un Parlamento unanime - ma anche alla storia - la legge 663/86 fu scritta da autorevolissimi giuristi, Giuliano Vassalli e Marcello Gallo in primo luogo (anche se ciò non risulta dagli atti parlamentari perché si lavorò in comitato ristretto dove non si verbalizza); io, non giurista, feci prevalentemente la parte dello stimolatore implacabile, per esempio costringendo Vassalli a rinunciare, il mercoledì, alla pennichella pomeridiana. D'altronde, se la legge è nota sotto - ---- - ---- -- 5 il mio nome, ciò si deve al fatto che, una volta manifestata la volontà concorde di maggioranza, opposizione e governo, di rivisitare tutto l'ordinamento del 1975, Martinazzoli ministro rinunciò, per accelerare i lavori, a presentare un progetto governativo e decise che si sarebbe proceduto per emendamenti aggiuntivi a un mio disegno di legge, limitato e timido, del 1983, volto soprattutto a disciplinare legislativamente la «massima sicurezza», ossia i carceri speciali degli anni di piombo, allora abbandonati alla totale discrezionalità dell'amministrazione. La seconda cosa chiara è la resistenza della Camera, per me imprevedibile in quella misura, al decreto legge del governo. Una resistenza che esprime una consapevolezza cresciuta non solo in ordine al superamento della cultura meramente custodialistica del carcere, ma anche sugli aspetti positivi realizzati nei fatti dall'ordinamento: scomparsa della violenza nelle carceri, diminuzione delle recidive (lo ammettono perfino i carabinieri) attraverso il riconoscimento dello Stato e della legge e il progressivo reinserimento sociale da parte della stragrande maggioranza dei condannati (oltre il 98% di «benefici» andati a buon fine). La rivolta di Porto Azzurro nel 1987 poté concludersi, grazie alla legge, senza una goccia di sangue laddove nel carcere di Alessandria, nel 1974, una rivolta di proporzioni molto minori si chiuse con morti e feriti. Altra cosa chiara: lo schieramento della Chiesa in modo compatto dalla parte della legge. Non solo i cappellani e la stampa cattolica; non solo i gruppi di volontari; ma anche le più alte autorità hanno fatto sentire la loro voce. Penso alla lettera del card. Poletti, presidente della Cei, ai detenuti: un documento esemplare, nella sua stringatezza, per solidarietà umana e nitidezza dell'appello alle autorità civili. Penso al discorso del card. Martini ai detenuti del carcere di Opera (Milano), centrato sul «patto d'alleanza» e sulla «fiducia sociale», in pratica uno splendido incitamento a rispettare la legge, a tornare regolarmente in carcere dal permesso o dalla semilibertà. Credo si debba dire che si è verificato un esempio eccellente (e raro) proprio di quella collaborazione fra Stato e Chiesa sancita nel nuovo Concordato; nel senso che la Chiesa, pur rimanendo nell'ambito della sua missione specifica, ha aiutato lo Stato sia a prender coscienza dei valori contenuti nelle sue stesse leggi (lo ha riconosciuto esplicitamente l'on. D'Onofrio nell'aula della
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