Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 12/13 - gen./feb. 1991

su realtà di fatto difficilmente confutabili, egli risultò però come un candidato perdente, perché «non affidabile» per tutti quei cittadini della ex Rdt, che immediatamente volevano dimenticare, nel benessere dei «fratelli fortunati», quarantacinque anni di sofferenze e di sventure. Perciò i suoi discorsi, pur se considerati giusti, non hanno fatto presa su chi preferiva prestare l'orecchio alle facili promesse di una subitanea rigenerazione nel «corpo sano» della Repubblica federale di Germania. Ma questa analisi critica sarebbe troppo limitativa se non prendesse pure in esame tutto il travaglio teorico e pratico del partito socialdemocratico, che, volendosi affermare come il «par- ()JL BIAI\CO l.XILROSSO il IIB1141 liiitiMirii tito della ragione» e della «Realpolitik», proprio in nome del suo realismo politico, non ha saputo cogliere la effettiva portata rivoluzionaria delle forze «irrazionali» da tempo in fermento nell'Europa centrale e orientale. Chi non ricorda, già nei primi anni '80, i giudizi di Horst Ehmke sul vuoto romanticismo del popolo polacco e quelli di Karsten Voigt sulla rivoluzione di Solidarnosc? Con realismo egli affermava allora che «non basta volere la rivoluzione se non si è in grado di farla!». con lo stesso realismo la Spd ha «trascurato» le forze del dissenso presenti nella ex Rdt, preferendo come interlocutore ufficiale la Sed. La socialdemocrazia tedesca era convinta della validità della formula secondo la quale «un graduale cambiamento è possibile soltanto mediante un graduale avvicinamento». Ma questo non è stato un errore di valutazione commesso dalla sola socialdemocrazia tedesca, poiché la maggior parte del mondo politico internazionale condivideva allora tale analisi. Piuttosto è da dire che gli imprevisti accadimenti che hanno improvvisamente sconvolto i Paesi dell'Europa centrale e orientale rappresentano una ulteriore conferma sulla inattendibilità di quelle «filosofie della storia» - e delle conseguenti dottrine politiche - che pretendono di prevedere nei loro schemi razionali pure ciò che è imprevedibile in quanto «irrazionale». Polonia: Walesa al Belvedere e i sono due possibili letture della determinazione con cui Lech Walesa ha prima imposto e poi combattuto e vinto le elezioni presidenziali polacche. L'una vi scorge il perseguimento di un disegno personale, ancorché perfettamente legittimo in quanto fondato su meriti indiscussi, conquistato sul campo. L'altra, l'ulteriore manifestazione di un grande intuito politico, capace di avvertire con tempestività, i mutamenti di umore della gente e quindi, nel caso concreto, la necessità di un fatto traumatico in grado di arrestare la delusione e la frustrazione della società polacca rispetto alle attese riposte nel processo di cambiamento. Quale che sia la lettura corretta della vicenda - la prima, la seconda o un mix delle due-, Lech Walesa insediatosi al Belvedere come primo presidente democraticamente eletto dal dopo- - di Emilio Gabaglio guerra, è chiamato ora a dare senso e concretezza a quell'accelerazione delle riforme che è stata la parola d'ordine della sua campagna elettorale. Una campagna condotta senza esclusione di colpi e in modo invero ingeneroso verso il Primo Ministro Mazowiecki, e resa ancor più affannosa e aspra dal confronto con Tyminski, un Signor Nessuno, dal passato oscuro e dai collegamenti ambigui, che ha raccolto una messe inattesa di consensi, estremizzando, fino al grottesco, critiche e promesse formulate peraltro dallo stesso Walesa. Una lotta elettorale che ha mandato definitivamente in pezzi Solidarnosc come movimento unitario di ampia aggregazione sociale e politica e ha messo in ombra il suo ruolo come sindacato che dovrà essere ridefinito e rilanciato. In che cosa possa consistere questa accelerazione è difficile dire, a giudica- -U re dai primi atti del nuovo Presidente. Da un lato Walesa ha compiuto ungesto inequivocabile sul piano politico. Ha preteso che i poteri di presidente gli fossero trasmessi non già dal gen. Jaruzelski ma dal presidente del governo in esilio a Londra rientrato in patria dopo 45 anni, accolto con gli onori riservati ad un vero Capo di Stato. Un modo per sognare una netta discontinuità con il periodo comunita; - "l'epoca del male" ha detto Walesa - quasi a volerlo espungere, perché estraneo, dalla storia polacca. Un modo anche per far sapere alla "nomenklatura" ex comunista che le intese della Tavola Rotonda del 1989 sono ormai superate, e che non solo al vertice dello Stato ma anche a tutti i livelli dell'amministrazione e dell'economia si procederà ad un rinnovamento dei quadri. Un terreno sul quale il governo Mazowiecki si era mosso inve-

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