()JL BIANCO '-X.IL ROSSO 1NiiBukii 1itiMUU Elezioni pantedesche: la «Realpolitik>>non basta e onfermando tutte le previsioni il cancelliere in carica Helmut Kohl ha vinto le elezioni pantedesche del 2 dicembre. Risultato, questo, scontato e ben anticipato, con approssimatività molto reale dai maggiori istituti demoscopici della Repubblica federale di Germania. L'Unione cristiano-democratica da lui guidata, pur se con qualche perdita rispetto alle precedenti elezioni del 1987, si conferma con il 43,8 per cento dei suffragi come il blocco politico più forte. Il suo alleato liberale, con l' 11 per cento, raggiunge finalmente le due cifre, cogliendo i frutti della sapiente politica del suo ministro degli esteri Hans-Dietrich Genscher. Non così si può dire dei Verdi dell'Ovest che escono di scena soprattutto per aver dimostrato di non comprendere, con il loro infantile slogan elettorale «tutti parlano della Germania, noi parliamo del tempo», l'imperativo dell'unificazone. Il Pds (ex Sed) e l'Alleanza 90 superano, invece, la barriera del 5 per cento grazie alla modificata legge elettorale che tiene in considerazione la percentuale del voto espresso nel territorio della ex Rdt. La Spd, perdendo in quasi tutti e cinque i Lander del territorio orientale (tranne che nel Brandeburgo) e a Berlino, riesce - con il 33,5 per cento - a limitare la sconfitta grazie all'apporto della Renania settentrionale-Vestfalia e della Saar, Lander di tradizionale dominio socialdemocratico. Il «secondo cancelliere dell'unificazione» (il primo, come è noto, è stato quello di «ferro», Otto von Bismarck) ha cosi coronato il suo sogno che, soltanto un anno fa, sembrava di difficile realizzazione. Infatti, nonostante guidasse un governo di coalizione con i liberali che poteva vantare più di un suedi Nestore Di Meola cesso sul piano della politica interna, Kohl faceva registrare, sorprendentemente, il più basso indice di gradimento mai avuto da un cancelliere in carica. Già ai tempi della sfida con Johannes Rau, il candidato cancelliere della Spd alle elezioni federali del 1987, Kohl era meno popolare del suo rivale politico. Vinse però le elezioni! Se allora ciò fu possibile soprattutto per errori politici della Spd - primo tra tutti quello dovuto alla caparbia volontà di Rau di condurre una illusoria campagna elettorale in nome di una irenica armonia che gli avrebbe garantito di vincere con il supporto della «maggioranza dei cittadini» a prescindere dalla loro appartenenza partitica -, ora ciò è stato possibile - bisogna dargli merito - per aver immediatamente «fiutato» il corso della storia e per averlo saputo gestire proprio con quella «qualità» che gli veniva sempre rinfacciata come negativa: la sua genericità di giudizio fondata più sulla facile retorica che non sulla forza del ragionamento logico. Kohl, infatti, ha ben compreso che bisognava far leva sui sentimenti nazionali del popolo tedesco e non sulle difficoltà di natura economica e sociale che il processo di unificazione avrebbe comportato. Il cancelliere, scavalcando le prudenze del suo ottimo ministro degli esteri, Hans Dietrich Genscher, ha inoltre compreso - con la fulmineità di chi si sente baciato dalla storia - che era giunto il momento di rompere gli indugi e di negoziare la questione tedesca direttamente con l'Unione Sovietica, cioè con la superpotenza restia a consentire una unificazione delle due Germanie alle condizioni volute dagli occidentali: non neutralità della Germania unifica- .---· I 42 ta e, perciò, appartenenza alla Nato anche della parte orientale del suo territorio. Il resto è cosa nota: Gorbaciov riceve Kohl e negozia l'unificazione sulla base delle proposte avanzate dal governo tedesco in cambio di massicci aiuti economici e con l'impegno di finanziare la riqualificazione dei militari del1'Unione Sovietica di stanza nella ex Rdt (e di provvedere alla costruzione di abitazioni per facilitare - e accelerare - il loro rientro!). Forte di questo successo esterno egli si presenta all'elettorato tedesco (soprattutto a quello della ex Rdt) comeil demiurgo in grado di sanare tutti i mali, particolarmente quelli dovuti alla tirannica gestione comunista sui «fratelli ingiustamente separati». Promette e viene osannato dalla esultanza delle masse che, testimone un cartello innalzato a Lipsia, attendono «la sua mano per essere condotti nel paese dellemeraviglie». Le carte elettorali che la Sed aveva da giocare erano state bruciate dagli eventi. Pur avendo il suo candidato alla cancelleria, Oskar Lafontaine, sorpassato nell'indice di gradimento il suo rivale Kohl appena qualche mese prima del fatidico novembre 1989, il ministro presidente della Saar videall'improvviso ridursi le sue possibilità di manovra da una ondata di nazionalismo che portò sulla cresta dell'onda proprio l'uomo più adatto a rappresentare e a cogliere l'insorgente e irrefrenabile domanda popolare. Lafontaine, così, decise di sbagliare, giocando la carta dei «costi dell'unificazione», che sarebbero ricaduti soprattutto sugli strati più deboli della popolazione. Pur se con argomentazioni fondate
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