i>ll. Bl.\~CO 0(11. ROSSO ■ it•#hlii Cambiamenti,ma senza catastrofismi e 'è un futuro nel sindacato? È una domanda mal posta, in parte astratta. La domanda concreta è: quale futuro per il sindacato? Stato, imprese, sindacati, sono soggetti e oggetti del cambiamento. Nell'inizio degli anni '80 è stato posto in discussione il ruolo dello Stato all'interno di una concezione keynesiana. L'ideologia «meno Stato, meno Sindacato, meno Monopolio, più Mercato» non è stato un puro slogan. È cambiato lo Stato con il suo ritiro dall'impegno diretto in economia. Il sindacato è stato obbligato a cambiare sotto il peso della disoccupazione e costretto a rimaneggiare le sue conquiste (flessibilità di salari e condizioni di lavoro). L'impresa gigante - tipica dell'epoca tayloristica - è stata anch'essa costretta a destrutturarsi e flessibilizzarsi. Il cambiamento è tutt'ora in corso e investe aree del mondo, dall'Est al Sud, che finora erano state al riparo del mutamento. Chi ha tardato a capire o ha sottovalutato l'impatto del mutamento, ha sbagliato più di altri e più di altri è penalizzato nell'azione politica. Il sindacato tuttavia ha subito l'urto più duro del cambiamento. E la ragione è semplice: il sindacato è un sodalizio di umanità. Ogni suo ridimensionamento è un impasto di sofferenze umane. Così non è per la privatizzazione del patrimonio pubblico, né per la ristrutturazione del capitale d'impresa. Ma cambiare, anche dolorosamente, anche perdendo quote di potere, non significa sparire o soccombere. Pertanto sono lontano dal condividere la crisi catastrofica che affligge, in Italia la Cgil e, in particolare la componente di Pietro Merli Brandini Genova. Forno Ansaldo. 1907. sindacale comunista. Essa semmai è giustificabile solo se si assume la concezione di dipendenza del sindacato dal partito. In tal caso è valida l'equazione: fine del partito comunista uguale a fine del sindacato. Sia pure in un processo di penosi cambiamenti il ruolo del sindacato riemerge. Hyman, l'acuto professore britannico di Warwick, rileva che i sindacati inglesi, quelli più bastonati, dall'ondata neo liberale, hanno appreso qualcosa in più della dura lezione tatcheriana. Il ritorno al vecchio mestiere (salari, condizioni di lavoro, occupazione) e l'abbandono di grandiosi progetti sociopolitici, dice Hyman, hanno tra- • JI sformato le Trade Unions, ma non le hanno sconfitte. Non è un mistero che i sindacati siano diventati ovunque meno sensibili alla prospettiva del "Sol dell'avvenire" e più concreti e marcatamente inclini ad un modello cooperativo piuttosto che conflittuale. In un mondo che, piaccia o meno, tende all'interdipendenza e all'omologazione, ragionare a mente fredda non è poi un inconveniente. È un peccato che i sindacati, che più partecipano all'elaborazione del quadro macroeconomico, valorizzino poco il proprio lavoro e i propri contributi. La Confederazione europea dei sin-
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