B venire sui sistemi di indicizzazione, anche se va evitato il rischio di zavorrare eccessivamente un confronto che s'annuncia comunque complesso. La contingenza può essere riformata senza abbassarne il livellodi copertura e sostituendola con una indicizzazione legata all'inflazioneprogrammata conpossibilità di conguaglio periodico secondo l'andamento dell'inflazione reale. Occorrepoi stabilire le regoledi una efficacepoliticadi tutti i redditi ein tale ambito i criteri attraverso i quali, le diverse categoriedi lavoratori pubblici eprivati, partecipano degli aumenti del prodotto interno lordo edellaproduttività a partire da questa tornata contrattuale. i)JJ. 81.\~CO lXII.HOSSO •h•#hld Contemporaneamente vanno avviati dei percorsi lunghi per omogeneizzare gli attuali. trattamenti diversificati che i lavoratori privati e pubblici hanno in materia previdenziale: pensioni e fine rapporto. Una parte importante del negoziato dovrebbe essere dedicata alla riforma delle relazioni industriali, delle rappresentanze di base e della contrattazione nei diversi settori di lavoro. Anche in tale caso andrebbero definiti criteri omogenei su: durata dei contratti; rapporto tra contrattazione nazionale e decentrata; soggetti negoziali; costituzione e poteri delle rappresentanze sindacali aziendali. In definitiva il confronto di giugno potrebbe portare alla stipula di una sorta di Carta delle retribuzioni e dei trattamenti del lavoro dipendente, unarisposta matura a quanti fondano, sul proprio lavoro i diritti di cittadinanza. Si può obbiettare che si mostra qui una aspettativa eccessiva su un evento esterno (il negoziato di giugno) per rivitalizzare l'identità del sindacalismo confederale. Perché meravigliarsi? È difficile per tutti autoriformarsi, anche per il sindacato, ed il fallimento di tante rifondazioni· lo conferma. La speranza, questa volta, è nella convinzione di molti che si è ormai giunti al livello di guardia. Dopo la ''mutazione genetica'' S crive Ralf Dahrendorf che la fine delle grandi forze sociali è vicina quando il futuro non è più con loro. È questa la sorte amara del sindacalismo confederale? Invero, non si può dire che in Italia vi sia una crisi irreversibile delle forme di autotutela collettiva. Sia pure in modi nuovi, spesso fluidi e ancora informi, sono fioriti in questi anni altri modelli di rappresentanza, portatori di specificità più marcate. Nel tessuto sociale non esistono compartimenti stagni; le suggestioni che irretiscono un pezzo di realtà del mondo del lavoro (i macchinisti, gli insegnanti e così via) e che magari danno vita all'ultimo Cobas di turno, hanno sempre un fondamento più vasto, una base sociale più ampia. Per cui ne deriva che anche il sindacalismo confederale, al dunque, non può ritenersene estraneo ed immunizzato. La crisi allora investe proprio il sindadi Giuliano Cazzola calismo confederale, la cui tenuta politica ed organizzativa è sempre più dipendente dalla sua collocazione istituzionale d'interlocutore privilegiato delle controparti, piuttosto che derivante da un consenso reale, da un effettivo rapporto di democrazia. Non si tratta ancora di una crisi drammatica; anzi è dato prevedere che proprio l'incardinamento nel tessuto istituzionale consentirà a Cgil, Cisl e Uil di reggere a lungo le sfide più insidiose sul terreno della rappresentatività. Tuttavia non facciamoci illusioni: la mutazione è avvenuta; al sindacalismo confederale hanno rubato l'anima. Quando ciò avviene, neppure le categorie possono pensare che la crisi non le riguardi, poiché l'appartenenza confederale, in Italia, è una caratteristica costitutiva, un fatto d'identità, un codice genetico. Oggi però non esistono più le forti motivazioni ideali nel cui nome sorsero la 25 Cgil, la Cisl e la Uil. Paradossalmente le tre Confederazioni che si divisero per le grandi cause che spaccarono in due il mondo, non riescono più a trovare una motivazione, per lo meno seria, al loro restare separate. Non a caso, poi, le regole intersindacali di ieri sono entrate così clamorosamente in crisi. Esse erano fondate sull'idea di una identità collettiva, di un consenso generale di cui l'organizzazione dei lavoratori dipendeva sulla base di un "mandato storico", di un collante formidabile garantito dalla ideologia. Dall'ideologia discendeva la linea generale a cui era considerato giusto attenersi in quanto essa sola garantiva quella trasformazione finalistica senza la quale nemmeno la lotta politica e sociale sembrava avere valore e significato. Oggi il "miracolo di san Gennaro" della classe operaia non riesce più, per la semplice ragione che non vi è più
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