be di nuovo stare in una mancanza di elaborazione strategica che si nasconde sotto l'ambizione ad una rappresentazione totalizzante degli equilibri di interessi. Nel superamento delle divisioni, nella costruzione dell'unità, dovrebbe perciò avere peso preponderante, oltre alla fine dei collateralismi, e quindi al superamento delle correnti, la riscoperta del proprio mestiere, non come riduzione entro meschini confini corporativi, ma come capacità di massimizzare la tutela dei rappresentati. Così il sindacato rinuncerebbe ad un suo impegno riformatore? lo credo, al contrario, che così vi assolverebbe 1.)!I. Bl.\~(:0 l.XII, ll(,S.,~ •h•#hid davvero. Genova. Ansaldo reparto torneria. Come reagirealla ''crisidi rappresentanza''? N oi possiamo ragionare solo sull'esigenza che sia mantenuto un sindacalismo confederale ma non è detto che anche la gente lo voglia ''naturalmente''. Siamo arrivati ad una crisi che mi sembra istituzionale e credo pertanto che dovremmo passare per una riforma "artificiale" del sindacato. Dunque una riforma della sua organizzazione, delle regole che presiedono il rapporto ormai lacerato tra rappresentanza contrattuale e rappresentatività generale. Dobbiamo ancora fare l'analisi della rottura di quel rapporto? Quando l'Italia era un paese agricolo, la rappresentanza contrattuale dei braccianti, pur tra le divisioni, dava al sindacato confederale una rappresentatività generale indiscussa. E lo stesso avvenne nel rapporto tra rappresentanza contrattuale dei metalmeccanici e rappresentatività confederale generale negli anni di forte industrializzazione. Ora che, come ci dicono i sociolodi Massimo Bordini ghi, la società è diventata società della comunicazione e dell'informazione, il congegno non funziona più. La rappresentanza contrattuale si sbriciola e resta fine a se stessa. Prima le maestose confederazioni potevano intervenire sulla politica agraria, sulle riforme sociali legate all'agricoltura, poi sulle ristrutturazioni, sulla politica industriale (lasciamo stare gli effetti, parlo della doppia natura delle funzioni sindacali: contrattazione e politica delle riforme erano connesse). Oggi sulla società post-industriale e sui settori più caldi dell'informazione e della comunicazione le conf ederazioni tacciono oppure esprimono opinioni irrilevanti. Non si tratta di questioni settoriali. Non si tratta della incapacità di intervenire su temi dove il confronto a sinistra o nella stessa Dc (penso alle questioni dell'emittenza radiotelevisiva) è asperrimo. Le confederazioni non hanno alcun peso neppure sui temi della politica agraria industriale o dei : 21 servizi. Le strutture confederali territoriali serpeggiano inutilmente tra ministeri, enti locali, sedi di partito. Un qualche peso in materia di riforma rimane sulle questioni pensionistiche perché iscriviamo ancora milioni di pensionati come vecchi lavoratori ancora affezionati. Il fatto è che da quando la curva che disegna lo sviluppo della produttività nel sistema privato ha intrecciato e superato quella della produzione di servizi privati, manufatti e prodotti agricoli, da quel momento è entrato in crisi il rapporto tra lavoro e rappresentanza sindacale. È inutile andare a cercare la data precisa e misurare puntigliosamente il fenomeno: chiunque si rende conto che la ricchezza dipende sempre meno dalla quantità di lavoro che si immette nei processi. Non vorrei proprio annoiare con i dati ma soffermandoci solo all'Italia e solo agli ultimi dieci anni è possibile a
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