ritrovamento, a far emergere questioni generali essenziali per recuperare i fattori di divisione che pesano e peseranno tra i lavoratori? La prima riflessione da fare per tracciare delle possibili risposte a quesiti cosi inquietanti, è su quella che potremmo chiamare la doppia rappresentanza. I lavoratori dipendenti sono come tali in grado di farsi sostenere nelle proprie rivendicazioni dal sindacato e dal parlamento, ma lo sono in modo molto differenziato tra gruppi di lavoratori. Vi sono categorie di dipendenti pubblici che trovano nel canale parlamentare un modulo molto efficace per soddisfare rivendicazioni di cui il sindacato potrebbe addirittura rifiutare di assumere la paternità, considerandole eccessivamente corporative. Se si guarda non solo alla retribuzione, ma ad altri aspetti, come il diritto al lavoro, questa regola vale anche per categorie di rilevante ampiezza. Per i lavoratori del settore privato, il canale parlamentare ha soprattutto un ruolo quando si tratti di fronteggiare problemi (ristrutturazioni di settore o d'impresa) che determinerebbero tensioni sociali "localizzate" significative. Il sindacato non ha dunque il monopolio della rappresentanza, ma subisce incursioni sul terreno che gli sarebbe proprio, da parte di poteri che certamente si sono sovraordinati sotto il profilo istituzionale. Il carattere frammentario, dal punto di vista degli interessi tutelati, di queste incursioni, non impedirebbe al sindacato, soprattutto a quello confederale, di consolidare il proprio ruolo di rappresentante unitario del mondo del lavoro dipendente. Potrebbe anzi rafforzarlo in questa vocazione. Occorrerebbe però che la vocazione fosse forte, che il principio di equità (non di egualitarismo garantista) fosse l'elemento discriminante della strategia affermata in ogni circostanza e ad ogni livello, che regole visibili ne discendessero anche sotto il profilo del sanzionare i comportamenti devianti. L'insussistenza di queste condizioni sembra il principale fattore di crisi del sindacalismo confederale. Sembra infatti difficile negare che il sindacato confederale abbia troppo spesso interpretato il proprio ruolo come quello del super-mediatore tra sindacati di i.>!'-Bt.-\~CO l.XII.HOSSO •h•ihliJ categoria o insieme di sindacati di categoria e governo/parlamento, intendendo il parlamento come luogo della rappresentanza di interessi "generali". Se il parlamento fosse davvero questo luogo, un'azione rivolta a modificare la collocazione del lavoro dipendente nella gerarchia degli interessi generali riconosciuti, potrebbe risultare efficace. Se è, invece, la frammentazione degli interessi rappresentati la regola, quest'azione rischia di rivelarsi insulsa, irrilevante. E l'investitura che con essa il sindacato dà all'istituzione parlamentare, diventa a sua volta un fattore di crisi delle sue capacità di rappresentare. Ma vi è di più. Perché sia pure in modi per molti versi marginali, il sindacato confederale ha ottenuto, in varie occasioni, che sue rivendicazioni di segno "generale" trovassero udienza in Parlamento, ma si è poi rivelato incapace di gestirle. Prendiamo, come esempio, la legge finanziaria del 1988, che incorporava ben due interventi rivendicati dal sindacato per fronteggiare il problema della disoccupazione giovanile nel Mezzogiorno: l'articolo 23 (quello che ha istituito una sorta di tirocinio in progetti di pubblica utilità), e la norma che prevedeva un contributo per ogni posto addizionale creato nelle piccole imprese del sud. Dei due interventi, il secondo neppure è stato concretizzato in strumenti che lo rendessero praticabile. Il primo è stato attuato con una scarsissima capacità del sindacato di intervenire per tutelarne l'efficacia in coerenza con gli obiettivi di partenza. Episodi come questi dimostrano un'inconsistenza del sindacato confederale inteso non come strumento di mediazione tra gli interessi immediati dei lavoratori (a rappresentanza categoriale) e istituzioni politiche, non come rappresentante degli interessi complessivi del mondo del lavoro, per primo del lavoro dipendente. È legittimo allora chiedersi che cosa abiliti il sindacato a sedersi al tavolo delle scelte e delle decisioni politiche: dove stiano le stigmate del suo essere rappresentante, cosa in effetti rappresenti e in nome di chi. Da questa riflessione deriva che il sindacalismo confederale dovrebbe prima di tutto recuperare una sua capacità di elaborazione strategica che l 20 ha come irrinunciabile passaggio preliminare, quello di decidere chi intende rappresentare prioritariamente. È vero che la "classe operaia" nelle forme celebrate non esiste più. Che alcune protezioni di base sono acquisite. Che tra il "pubblico" e gli interessi generali si è scavato un abisso. Ma è anche vero che il lavoro dipendente, soprattutto privato, è l'area meno favorita del mondo del lavoro. Che le protezioni sono diseguali e talvolta manif estamente insufficienti. Che la legittimazione del "pubblico" di cui il sindacato si fa spesso ancora portatore, è imbarazzante a causa delle connotazioni che il "pubblico" assume. È vero perciò che un sindacato che sapesse fare il suo mestiere di cose da dire e da fare ne avrebbe, e molte. Riapprendere a fare il proprio mestiere, dunque? Si, io credo davvero che il problema sia prima di tutto questo. Ci sono ostacoli non rapportabili solo ad insufficienze degli apparati, su questa strada? Certamente ve ne sono. Sono nella pochezza degli interlocutori naturali, Confindustria prima di tutto. Sono nelle difficoltà oggettive a superare le discriminazioni tra impiego pubblico e privato, che rappresentano oggi uno dei maggiori fattori di debolezza del sindacalismo confederale. Sono nelle stesse remore a rinunciare ad occupare tavoli che appaiono fonte di legittimazione. Vi è tra queste difficoltà la divisione tra confederazioni? E perché essa non dovrebbe essere superata? Guardando con occhi disincantati la situazione attuale, sembrerebbe di poter dire che la divisione deriva non (e non da oggi) da differenti ideologie, ma dalla collocazione che il sindacato ha nel sistema partitocratico; una collocazione sostanzialmente subalterna, nel senso che il sindacato è uno dei _possibili canali del cursus honorum (come le organizzazioni dei lavoratori autonomi, come i sindacati professionali, ecc.). Questa spiegazione avrebbe però una conseguenza paradossale, perché mentre coloro che per altri analoghi canali arrivano in parlamento, diventano li la lobby (spesso trasversale rispetto ai partiti) dei loro elettori, non altrettanto avviene per i sindacati dei lavoratori dipendenti, per CgilCisl-Uil. E l'anello mancante potreb-
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==