della Federazione unitaria e di taluni falsi tesseramenti. Dal versante comunista ci saranno grandi cambiamenti. Il partito diventerà un altro non più comunista, la corrente comunista della Cgil si è sciolta. Già questi fatti cambiano lo scenario e possono aiutare all'avvio di un processo nuovo di unità. Ma non è detto che sia questo eventuale processo unitario nuovo a risolvere il problema della identità di sindacato generale. Potrebbe trattarsi di una nuova organizzazioneconfederale unitaria chemantiene i vizi attuali e cioè seguitare a proclamarsi sindacato generale e per di più unitario, ma perpetuando e aggravando la finzione con la vittoria della prassi {)JJ, BIANCO l.XltHOSSO 1111 #089 corporativa prevalsa in questi anni. E allora occorre la presa d'atto della verità; il riconoscimento delle cose come stanno per andare ad una fase di dialettica anche vivace tra categorie, tra gruppi e interessi anche differenti che sussistono nel nostro mondo. Una fase nella quale ripartire più dai problemi che dalle idee, dalla condizione di chi si rappresenta, dall'abc. Non si vuole contrapporre una sorta di concretezza dei problemi a una presunta astrattezza delle idee. Occorre intrecciareproblemi e idee, favorire una fase di dialettica delleorganizzazioni che si svolga tra categorie, tra categorie e confederazioni, favorendo uno spazio maggiore al ruolo dellecategorie. Da una fase del genere può nascere una più forte e condivisa necessità di maggiore confederalità, come riconoscimento della convenienza per tutti di stare al gioco di un interesse generale. In una dialettica del genere si può immaginare che i lavoratori tessili Cgil Cisl Uil siano più concordi tra di loro piuttosto che con i rispettivi fratelli del pubblico impiego iscritti alle medesime confederazioni. È chiaro come una tale prospettiva contenga dei rischi. Considero ben più gravi per tutti i rischi derivanti dal perpetuare la finzione prima descritta, in un pluralismo organizzativo che ha più ben poco delle motivazioni, nobili e no, che lo hanno generato. Il legame virtuoso confederalità-equità ' E opportuno parlare ed approfondire il tema delle difficoltà e del futuro dell'esperienza sindacale. Diciamo subito che, in Italia, come in molti altri paesi europei, questa esperienza, seppur ridimensionata rispetto al periodo eccezionale del decennio '70, mostra un notevole grado di persistenza e, rispetto ai primi anni '80, non pochi segni di ripresa e di innovazione. Le difficoltà, specie recentemente e con riferimento all'Italia, sembrano riguardare in particolare il sindacalismo confederale. In altre parole, l'esperienza sindacale appare ricca di iniziative, di esiti, di presenza ma spesso al di fuori e al di sotto delle esigenze di coordinamento, di coerenza, di equità, che sono o dovrebbero essere proprie della logica confederale. L'attacco più vistoso viene da aggregazioni come i Cobas, che pretendono di Guido Baglioni di portare avanti una specie di sindacalismo di mestiere, mantenendo i vantaggi di un sistema articolato di relazioni industriali. Ma sussistono minacce più insidiose. In ampi settori del mondo del lavoro, si è sviluppata una inflazione di aspettative, che non vengono collegate alla prestazione, bensi a livelli di vita sempre più elevati e sofisticati, ritenuti legittimi, doverosi e, quindi, raggiungibili. Ciò provoca una crescente corsa rivendicativa, spesso presentata come difesa della professionalità o esigenza di status ma che, in concreto, si traduce in obiettivi salariali eccessivi rispetto alle risorse disponibili. Il fenomeno, di cui parliamo, coinvolge gran parte del mondo impiegatizio, dei lavori intellettuali o ritenuti tali e, come è noto, ha avuto ed ha possibilità di successo nel pubblico impiego Il' -- • 18 e nei servizi non soggetti alla concorrenza internazionale. Le ragioni del fenomeno sono complesse e molteplici. Tra di esse un posto di rilievo hanno le seguenti: la diffusa volontà politica di non accedere nuovamente e, anzi, di rimuovere le pratiche di concertazione dei primi anni '80; la ritrosia di molti imprenditori ad accettare i vincoli di una determinazione centralizzata dei tetti salariali di base; la scarsa consistenza e la incoerenza dell'attore pubblico, come datore di lavoro nelle trattative contrattuali e mediante le ripetute "incursioni legislative"; le divisioni o le incertezze delle confederazioni rispetto alla politica dei redditi ed alle dinamiche rivendicative particolaristiche. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un assetto retribuito con differenziazioni spesso non motivate, aggravato
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