Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 12/13 - gen./feb. 1991

i>ll, BI.\\U) lXII.HOSSO iiliiilid Prepensionamenti: un rimedio rischioso di Mario Bertin L a previdenza è un settore cui frequentemente si è fatto ricorso per intervenire sia sulla distribuzione del reddito, sia a sostegno dell'attività produttiva. In tale ambito, uno degli strumenti maggiormente utilizzati nel corso degli anni Ottanta, per far fronte alle crisi e alle ristrutturazioni aziendali, è stato l'istituto del prepensionamento. E ad esso si continua a rivolgersi ogni qualvolta si profilano eccedenze di manodopera, con l'obiettivo di dirottare sulla collettività gli oneri che dovrebbero ricadere sull'azienda o sui singoli lavoratori giudicati in esubero. Emblematico è il recente caso Olivetti. Pur potendo essere considerato un provvedimento indolore se considerato nelle particolari situazioni concrete, nel contesto micro, il prepensionamento, se adottato in misura estesa, può comportare, come sta succedendo in Italia, altissimi costi economici e sociali, provocare effetti degenerativi sull'intero sistema della tutela, dar vita ~ spirali di disgregazione nei rapporti sociali. Il prepensionamento, insomma, è una medicina da prendere a piccolissime dosi perché ricca di controindicazioni. Il numero dei prepensionamenti per effetto delle norme a sostegno dei settori in crisi supera le trecentomila unità e comporta una spesa media annua superiore ai tremila miliardi, che si riversa, con le comprensibili gravi conseguenze, sui bilanci delle gestioni pensionistiche. All'onere derivante dalle prestazioni, per tutto il periodo dell'anticipazione, vanno aggiunti i mancati introiti contributivi. La durata media dell'anticipazione risulta pari a 3,8 anni, ma essa sale a 8,8 anni per il settore siderurgico e dell'alluminio. È davvero difficile capacitarci di fronte ad atteggiamenti governativi che, da una parte, per il peggioramento del rapporto tra lavoratori/ contribuenti e pensionati, propongono l'elevazione dell'età pensionabile e, dall'altra, consentono un ricorso più massiccio ai pensionamenti anticipati, che tale rapporto non fa che aggravare. Ma di tali paradossi è ricca la politica previdenziale di questo governo: basti pensare all'altro clamoroso provvedimento che stanzia migliaia di miliardi per sanare la cosiddetta «pensioni d'annata», mentre contemporaneamente altre se ne creano con la riduzione dal 2 all' 1,75 per cento annuo del tasso di rendimento. In aggiunta bisogna tener conto che l'adozione di misure speciali di prepensionamento viene ad inserirsi in un tessuto già molto logorato da questo punto di vista. L'Italia, infatti, è il paese dei pensionamenti anticipati, che rappresentano, si può quasi affermare, la norma. Nel settore pubblico, l'anzianità media di servizio di coloro che si collocano in pensionamento è inferi ore ai 30 anni. Come ci si può attendere, essa è più bassa nelle donne che negli uomini. Vanno in pensione con 35 e più anni di servizio soltanto il 90Jodegli assicurati. Qualora si consideri l'età, cessano dal servizio al compimento dell'età pensionabile e dopo soltanto il 15,20Jodei maschi e il 170Jodelle donne. Anche tra gli assicurati al Fondo pensioni lavoratori dipendenti dell'lnps (settore privato) la percentuale dei lavoratori che anticipano l'abbandono del lavoro, rispetto all'età legale, pur non essendo altrettanto clamorosa, è comunque piuttosto alta (nel 1987, il 46,50/o dei maschi e l'll,50Jo delle donne). A favore degli esodi anticipati nel pubblico impiego gioca prevalentemente il fattore convenienza (assicurazione di una quota consistente dell'indennità integrativa speciale, che rappresenta la «voce» più significativa della retribuzione), mentre il settore privato è maggiormente condizionato dalla impossibilità per molti di far valere una adeguata anzianità contributiva (per cui si fa ricorso al pensionamen-

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