Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 12/13 - gen./feb. 1991

i>ll BIANCO '-Xli, BOSSO iiiiliNNli di questi anni i soggetti adatti a gestire la nuova fase industriale, più esigente in termini di qualificazione, scolarizzazione, familiarità con le nuove tecnologie. Il terzo effetto, già visibile, è quello delle politiche d'ingresso nell'Europa del 1992. La competizione " a tutto campo" sta già producendo visibili effetti in molti settori, in termini di decentramento produttivo e razionalizzazione. Per l'industria italiana la politica di cambio adottata con grande consenso generale ha fatto emergere, oltre che il problema del debito pubblico, un differenziale negli andamenti dei costi monetari del lavoro con i paesi concorrenti, non più mascherabile con una accorta politica di navigazione della lira fra dollaro e marco. L'aggancio stretto con la moneta tedesca, oltre la necessità di mantenere elevati i tassi di interesse reali per sostenere una massa di debito pubblico ormai pari al Pil, ha drammatizzato sia il tema della scala mobile che del costo del lavoro industriale. Gli obiettivi di distribuire incrementi di produttività ai lavoratori dell'industria e del sostegno del debito pubblico sono ormai chiaramente inconciliabili. Basti pensare che nel 1991 è previsto un aumento del Pil dell'l %, mentre il pagamento degli interessi sul debito dovrebbe assorbire una quota Pil almeno del 5-6%. Pagare il biglietto d'ingresso per non essere schiacciati dalla competizione comunitaria significa ridurre di oltre la metà un tasso di inflazione italiano che è almeno il doppio della media comunitaria. Il dover trasferire risorse ai possessori italiani ed esteri di titoli del debito pubblico spinge l'industria ad accelerare, dove e quando può, i suoi progetti di ristrutturazione e razionalizzazione, avendo pochissimo da offrire ai lavoratori coinvolti. Il caso italiano, in cui il livello di valore aggiunto prodotto dall'industria manifatturiera sul totale è molto meno elevato che in paesi come la Rft o il Giappone, offre spazi minori alla diversificazione industriale ed alle opportunità di spostare la produzione in settori con tecnologie avanzate. Per il sindacalismo industriale italiano l'orizzonte è particolarmente duro. L'ingresso nell'ambiente europeo da un lato ha ridotto le categorie di riferimento culturali al puro gioco del mercato, inteso come entità sempre più astratta e prossima alle categorie dello spirito; dall'altro ha portato ad una difesa difficile delle garanzie sociali esistenti, come la scala mobile e la cassa integrazione, poco esportabi- : - 11 Genova. Stabilimenti Ansaldo, 1907. li nell'area delle relazioni industriali dominate dal marco. Il dilemma se costruire un sistema di garanzie più adatto ad uno spazio sovranazionale o ''partecipare'' alla gestione di crisi occupazionali dirette dalle logiche oggettive del mercato allargato, è evidente nelle prime risposte alla Fiat, all'Enimont, all'Olivetti. A nessuna delle due ipotesi il sindacalismo italiano ed europeo sembra essere credibilmente attrezzato a rispondere. La nuova fase propone un percorso di crescita notevole e vaste sprovincializzazioni. È anche evidente che il riferimento alle modalità di gestione della ristrutturazione della prima metà degli anni ottanta è insufficiente. Gli spazi sono più stretti e gli ammortizzatori più consumati.

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