i.>.ll• BIANCO lXH.ROSSO iiiiiil•P tati di questa indagine conoscitiva molti luoghi comuni vengono abbattuti e la questione immigrati comincia ad assumere contorni definiti. I paesi di provenienza dei 2279 alloggiati nello «shishmahal», o «Palazzo di Vetro», come l'edificio diroccato della via Casilina (nei pressi di Porta Maggiore) è stato con lieve ironia definito da alcuni dei suoi abitanti, sono i seguenti. L'880Jo giunge dal sub continente indiano, India - Pakistan - Bangla Desh, mentre la componente Nord Africana non supera il lOOJo.Prima di giungere a Roma quasi tutti hanno soggiornato e lavorato in vari paesi industrializzati del mondo - dal Giappone al Nord Europa - dove hanno appreso lingue e levigato mestieri. Ventisei lingue dei paesi di origine e altre tredici di paesi ex coloniali o toccati dal viaggio migratorio, rinverdendo il mito della torre di Babele, si confrontano negli spazi desolati dell'ex pastificio romano. Esse ci pongono però anche il problema di quale debba essere il nostro comportamento di fronte a tale straordinaria ricchezza. Puntare sull'assimilazione univoca nel nostro modello linguistico? Affidarci alle suggestioni del crogiuolo di lingue da cui dovrebbe nascere una sintesi culturale nuova e positiva? Favorire il pluralismo etnico e linguistico e dunque addestrare alla comunicazione nella nostra lingua mentre noi ci addestriamo alla comunicazione nelle loro? È una domanda la cui risposta è vincolata a valutazioni ed orientamenti generali. Se infatti il flusso migratorio più che un problema marginale ed emergenziale, come se fosse una calamità, si presenta come primo consistente sussulto della trasformazione in atto verso una società multietnica e multiculturale, la risposta parrebbe, pur se non di facile attuazione, piuttosto scontata. Parrebbe, perché poi nei fatti quotidiani tutto ritorna ad essere confuso ed affrontato con affanni emergenziali e confusi, come il piano di sgombero dell'ex Pastificio ordinato dall'assessore Azzaro ha dolorosamente evidenziato. Dalle lingue alla scolarità e al lavoro: anche qui i luoghi comuni ordinari, dell'immigrato senza arte né parte, debbono essere semplicemente abbandonati. Gli alloggiati all'ex Pantanella presentano tassi di scolarizzazione oscillanti intorno al valoro medio di 10 anni, con una percentuale piuttosto alta di diplomati superiori o universitari. Il che vuol dire che nei paesi in cui l'analfabetismo raggiunge valori del 700Joper la popolazione con oltre 15 anni, sono partiti per arrivare fin qui le persone culturalmente più informate ed attrezzate. Un ulteriore impoverimento dei paesi di origine, certamente, ma anche una ulteriore responsabilità dei paesi ospitanti, peraltro non estranei al drammatico gap culturale che affligge le relazioni Nord-Sud del mondo. Guardando la tabella riassuntiva delle qualifiche professionali, un dato evidente è la definizione metropolitana dei mestieri e delle professioni. Ai primi posti si collocano gli operai manifatturieri, gli edili e i lavoratori dei servizi. Non trascurabile, tuttavia, è la percentuale degli impiegati, degli artigiani e dei professionisti. Si tratta di un'offerta giovane e flessibile, per il 900/ocompresa tra i 18 ed i 39 anni e disposta a trasferirsi anche fuori Roma (nell'800/o dei casi). È un'offerta il cui destino, sul mercato del lavoro, sembra però fortemente pregiudicato dall'assenza di strutture adeguate di raccordo e contrattazione con le fonti della domanda. Positiva pertanto appare l'idea lanciata, dalla Caritas e dai Sindacati, di un'Agenzia del lavoro locale, come pure l'intenzione di favorire la formazione di cooperative al fine di «ottimizzare» l'offerta di prestazioni sul mercato del lavoro e ridurre, nello stesso tempo, le frizioni di natura transculturale e linguistica. Vale infine la pena di riflettere che gli immigrati sono gli elementi più validi di una comunità, quelli maggiormente capaci di iniziativa, i più forti moralmente, i più coraggiosi e fisicamente validi. Sono essi che decidono di emigrare, di elaborare progetti di miglioramento economico e civile per sé e per la propria famiglia. È una punta avanzata, un rappresentante della sua comunità nazionale. Vi è in ognuno di loro, anche nel più bloccato dalla barriera linguistica e dalla mancanza di mezzi finanziari, uno straordinario anelito di libertà, un bisogno crescente di autorealizzazione, un progetto. Deluderli vorrebbe dire deluderci. Ma, ancora peggio, non metterci al più presto in grado di affrontare, con l'impegno e gli strumenti istituzionali necessari, una trasformazione sociale che si annuncia strutturale e irreversibile, non farebbe che aggiungere problemi a problemi. L'occasione offerta dagli immigrati della ex Pantanella è una occasione da non perdere; sarà nei prossimi mesi, comunque, un banco di prova per le istituzioni, Stato ed Enti locali. Ci si deve chiedere, allora: che succederà se la prova andasse fallita?
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