renza Episcopale Italiana non contesta questo principio, ma finora l'episcopato italiano ha sempre ribadito l'attenzione alle «perdur~nti situazioni» che consigliano un comportamento elettorale unitario. Un alto «principio» (non sempre evidente nella esperienza storica) e un prudenziale restare agganciati a situazioni concrete statiche («perduranti»), sono insufficienti di per sé a dissolvere e sostituire una formula politica nata in una stretta storica che realmente ha congiunto esperienza religiosa e esperienza secolare e politica. E tuttavia si delineano e si propongono situazioni obiettivamente diverse da quelle dell'ultimo mezzo secolo, segnato in Italia dall'esperienza democristiana. L'orizzonte storico è segnato ora dalla fine dell'esperienza sovietica, con la difficile fuoriuscita dal «socialismo reale» e l'autoliquidazione del «mito» comunista e di quella un tem- •h•ihld po potentissima ideocrazia. Di grande interesse per il «mondo cattolico» saranno gli sviluppi e gli equilibri che si realizzeranno in Polonia, tra due leader cattolici tanto diversi come Walesa e Mazoviecki, in presenza di un pontificato come quello di Wojtyla. Ma anche per l'Italia si avvicinano tempi di mutazioni, nella prossimità ormai inevitabile di riforme istituzionali ed elettorali, con il passaggio ad una democrazia più immediata, dove cresceranno le responsabilità di cittadini attivi e forti e diminuiranno i poteri dei partiti «ideologici», democrazia cristiana compresa. In questo nuovo orizzonte e con nuove regole, la democrazia delle alternative non si articolerà su scelte tra democrazia liberale, socialistica, cristiana. I democratici sono ora tutti liberali e tutti socialisti, per quel che occorre: quanto alla religione e alla religiosità, non è cosa che si veda o si deCattolici cida nelle urne elettorali. Ma è sicuro che, affinché il destino ulteriore «reale» della nostra democrazia non sia tecnocratico (in ciò che vale; e affaristico e mistificato in ciò che non vale), occorre una crescita etica e religiosa delle persone, quale sono nuove forme comunitarie (non un «partito», neppure della democrazia cristiana), possono assicurare. Ma questo è tutto un altro discorso. Il «dopo la Dc» verrà, ma dalla storia politica grande e dai movimenti culturali molecolari: non, principalmente, dalle azioni e dalle contese dei partiti. Le situazioni reali sono meno «perduranti» di quanto sembra e vedono nascere unità migliori di quelle sperimentate ieri, più feconde di quelle più visibili oggi, più pacifiche e attive. Speriamolo, se no davvero è tragedia; viviamolo, se no è vergogna e noia: per i cristiani e il mondo. e riformismo possibile e ompito di questo intervento, quello di sviluppare alcune considerazioni in ordine alla cultura e al modello politico propri del riformismo, messe in stretto rapporto con l'atteggiarsi di forme culturali e mentali proprie della sinistra cristiana nel nostro Paese. Il dato di partenza dal quale muovere la costatazione dell'esistenza di un rapporto fortemente conflittuale in Italia tra i cattolici di sinistra o i cattolici democratici e il riformismo. E contestualmente, si è dovuta costatare in questi anni una maggiore propensione, da parte di molti appartenenti a questo filone, a dialogare per un verso con la cultura e la politica comuniste e si assistealla possibilità di una vera e propria oscillazione, da parte delle medesime di Luigi Ruggiu persone, tra l'adesione o almeno la simpatia culturale e politica ad un partito dell'estrema sinistra o indifferentemente ad un partito che rappresenta il centro moderato. E, nel caso che si aderisca al partito moderato, all'apertura di un asse di dialogo e di manovra preferenziale con il partito comunista piuttosto che con il partito socialista. Com'è possibile questo paradosso, che fa si che appaiano intercambiabili una politica di sinistra estrema e una politica moderata? Come è possibile che il confronto possa avvenire tra culture e politiche in qualche modo antitetiche piuttosto con quelle che a prima vista dovrebbero offrire un maggiore grado di affinità? Certo le ragioni del conflitto con il riformismo sono molteplici. Non ulti- : (,J me, quelle che sono da imputare alle proposte e alle prassi del riformismo italiano. Ma è nostra impressione, che i moviti di questo tipo non siano decisivi nella spiegazione di questa assoluta anomalia e paradosso. Il paradosso diviene più apparente che reale, se si ipotizza che le ragioni che dettano questo tipo di comportamento siano da attribuire a motivazioni che non sono primariamente politiche, bensì di natura culturale e «mentale». Vogliamo evidenziare, dicendo questo, che esiste una dissociazione reale tra le ragioni culturali di una impostazione politica e le motivazioni prettamente di natura programmaticopolitica, nelle quali dovrebbe avere un prolungamento di intervento la scelta culturale. Detto in altri termini, le ra-
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