Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 10/11 - nov./dic. 1990

.i)_J.I. Bl.\~CO lX11. nosso 1111 #0111 I cattolici nel sindacato di Bruno Manghi L a lunga vicenda dei cattolici nel sindacalismo italiano va inquadrata forse in un contesto internazionale. Troviamo infatti una marcata differenza tra quei paesi (Francia, Belgio, Spagna, Italia, alcune regioni tedesche) in cui la religione cattolica era fede di maggioranza e quelli dove prevalevano altre confessioni (Usa, Gran Bretagna, Nord Europa). Le minoranze cattoliche dettero qui una lettura più conflittuale dell'insegnamento sociale della Chiesa in quanto si identificavano con margini sociali diseredati, mentre nell'Europa cattolica ebbero a confrontarsi con un mondo socialista (e successivamente in Italia e Francia con i comunisti) tendente al monopolio della rappresentanza operaia e fortemente irreligioso ed anticlericale. Il Popolo insistesull'opposizionecattolicaal fascismo. A parziale contrappeso, si può affermare che in Italia l'impegno cattolico nel sociale fu incentivato dal conflitto con elites dominanti in prevalenza ostili alla chiesa fino al secondo conflitto mondiale. Il tragitto italiano ci racconta come, attraverso un percorso molto accidentato, i sindacalisti cattolici seppero e poterono uscire da un ruolo minoritario per collocarsi alla pari sulla scena delle relazioni sindacali. Non che essi ad inizio secolo risultassero in condizione di inferiorità quanto al «mestiere». Anzi, i cattolici nel lavoro di organizzatori sociali mostrarono sempre capacità straordinarie. Ma l'orizzonte culturale e politico del tempo li confinava, stretti com'erano tra l'affermarsi della vulgata socialista nelle sue varie accezioni e classi dominanti a maggioranza secolarizzate quando non pienamente ostili al fatto religioso, ritenuto fenomeno di superstizione popolare. Dopo una prima fiammata a valle della grande guerra, spenta dal successo fascista, è il secondo dopoguerra a rivelare la potenzialità del mondo sindacale cattolico che ha ovviamente nella Cisl il contenitore pressoché unico. Quali i motivi? Almeno tre. Il crollo del regime libera totalmente per la prima volta le energie civili complessive del mondo cattolico, candidandolo in tutti i luoghi della politica. Finalmente il lavoro sociale non è più un territorio di autodifesa isolato dal contesto nazionale. In secondo luogo, affluiscono nella città e nei settori secolarizzati dall'800, masse di lavoratori provenienti dalla provincia cattolica, mentre la Chiesa riattiva in piena libertà le sue organizzazioni giovanili (associazioni, oratori). Il terzo motivo deriva dalla felice e caparbia intuizione dei padri fondatori della Cisl, attenti alla lezione anglosassone di sindacato moderno, aperti ad un sindacalismo aconfessionale in quanto desideroso di primeggiare, non ■ S6 rassegnato a viversi come minoranza congelata. Questa intuizione, maturata e resa concreta negli anni 40 e 50, richiedeva tuttavia una «prova del fuoco» per potersi comunicare in una dimensione di masse: le lotte tumultuose degli anni 60. Dove appunto i cattolici nel sindacato seppero misurarsi senza complessi con i grandi conflitti che inevitabilmente accompagnano le trasformazioni. L'intera storia ci mostra come il problema cruciale per i cattolici nel sindacato sia appunto il rapporto con il conflitto. Talvolta il fatto che il conflitto compaia nelle vesti dell'antagonismo e sia inquadrato in ipotesi totalitarie li induce a temerlo e a non apprezzarne il valore. Altre volte, quando anch'essi si immergono nel conflitto, le radici populiste (non operaiste!) possono condurli a forme di pensiero sorelliano. Abbiamo vissuto entrambi gli estremi, anche se oggi possiamo dire che fortunatamente le lezioni della realtà e

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