parrebbe più soggetta al condizionamento della contingenza storica, ossia la politica. Una analisi, a mio avviso semplicistica, sostiene che la cultura politica della mediazione è destinata ad essere riposta in soffitta con la fine della democrazia consociativa e l'affer- ~.li. BI\"CO lXII.HOSSO 1111 #§1 11 marsi di una democrazia delle alternative. A mio modo di vedere, è vero proprio l'esatto contrario: se nel contesto, necessariamente angusto, della democrazia consociativa, la mediazione, tolte poche grandi eccezioni, finiva fatalmente per tradursi in attitudine compromissoria, in una democrazia delle alternative politico-programmatiche, la cultura della mediazione può esprimere appieno la sua vocazione di sintesi dei valori, dei bisogni, degli interessi, in ipotesi programmatiche sulle quali arrischiare la ricerca del consenso. La funzione attuale dei cattolici democratici O ccorre dirlo ormai con chiarezza: quella componente della politica italiana che viene chiamata, non senza qualche elemento di ambiguità, cattolico-democratica non può più avere oggi la funzione che ha svolto in passato e, pena la sua estinzione, deve assumere un nuovo ruolo. La funzione che i cattolici democratici hanno svolto in passato è consegnata ormai alla storia ed è di tutto rispetto: hanno lavorato per il superamento di quello «strano concorso di circostanze» (secondo la calibrata espressione di Tocqueville) che spingeva la Chiesa a collocarsi, nella prima metà dell'800, fra le forze «che la democrazia travolge», hanno preparato cioè la conciliazione fra Chiesa e democrazia; hanno espresso (in Italia più che in altre aree geografiche) una cultura politica come quella sturziana che ha offerto originali e profonde intuizioni sui problemi della democrazia; si sono opposti al fascismo; hanno contribuito, con l'opera di De Gasperi nel secondo dopoguerra, a saldare il «consenso cattolico» alle esigenze della rinascita democristiana ed hanno offerto una valida risposta - nella democrazia - al comunismo stalinista; handi Pietro Scoppola no favorito l'ampliamento delle basi di consenso allo Stato democratico prima con il passaggio dal centrismo al centro sinistra poi con l'esperienza della solidarietà nazionale. Sono meriti storici sui quali la discussione è e rimane aperta ma che nella sostanza non possono essere messi in dubbio. Ma proprio perché tutto questo è stato fatto e appartiene alla storia non può più essere elemento di identità attuale dei cattolici democratici. Certo, a fondamento della funzione svolta in passato vi è una cultura, una antropologia, una tensione etica e religiosa che rimangono validi elementi di identità anche per il futuro. In un recente incontro svoltosi a Ravenna per ricordare Benigno Zaccagnini nel primo anniversario della sua morte, sono emersi con chiarezza questi presupposti del1'impegno politico. Ma oggi, a me sembra, sulla base di questi stessi presupposti culturali e morali, il compito dei cattolici democratici deve essere ridefinito e deve essere diverso da quello del passato: deve essere ormai quello di favorire e guidare il processo di superamento di una «democrazia dei partiti» sempre più chiusa in se stessa, incapace di coinvolgere la partecipazione dei citSI tadini e fonte di corruzione nel paese. Quando dico «democrazia dei partiti» non intendo una democrazia in cui i partiti hanno uno spazio e un ruolo: nessuno contesta o mette in dubbio il ruolo che i partiti hanno svolto in passato e la loro utilità e necessità per il futuro. Intendo invece una democrazia, come quella che si è di fatto formata in Italia, in cui i partiti hanno sostituito e svuotato le istituzioni democratiche. Oggi questa democrazia dei partiti è il vero ostacolo nel cammino della democrazia italiana. La nostra costituzione stabilisce nell'articolo 49 che i cittadini possono associarsi in partiti per concorrere a determinare la politica nazionale: secondo la norma i cittadini sono i soggetti e i partiti lo strumento. Ma è sotto gli occhi di tutti il rovesciamento di questo rapporto: i partiti sono i soggetti che determinano la politica nazionale, e il consenso dei cittadini è ridotto a puro strumento. Per superare questa situazione occorre uscire dal sistema della aggregazione al centro delle forze politiche e passare a un sistema di alternanza. Certo, questo è un compito di tutte le forze che vogliono una crescita della democrazia italiana e non dei soli cat-
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