i>JI, BIANCO lXH.ROSSO iii•iii•il segnato le vicende di questi ultimi mesi. Una cultura fatta di certezze più che di dubbi, di violenza più che di tolleranza, di indignazione più che di argomentazioni, di inarrestabile vocazione alla totalizzazione delle polemiche, di dissonanze cognitive più che di coerenti modalità di conoscenza e di apprendimento. Una cultura che abbiamo visto riapparire in vicende interne ed esterne come la questione medioorientale (con la connessa partecipazione militare italiana), la unificazione tedesca, i modi di lettura o di reazione alla scoperta di una organizzazione segreta (o «riservata» o «parallela») nell'ambito Nato. Il mantenimento di questa cultura può forse ridurre la conflittualità di cui sopra, ma impedisce l'arrivo alla formazione B (sempre che questa sia una nuova formazione). Perché è plausibile la validità di un tale teorema di impossibilità? Perché un partito moderno è, e deve essere, «piglia tutto» ma non può essere tutto. Deve essere pronto ad accogliere i voti di chiunque, ed anche ad accollarsi una molteplicità di obiettivi, non sempre coerenti fra loro. Ma non può generare dubbi sulla propria natura politica; i conflitti e le tensioni politiche che potrebbe generare sarebbero maggiori di quelli che contribuisce a risolvere. Esisteva un altro cammino? Probabilmente si, quello che porta alla nascita di una nuova formazione politica (senza vincoli di trasformazione di quella vecchia) all'interno degli spazi previsti dagli assetti liberal-democratici, spazi che, anche se estesi, non sono infiniti. Ma con quali costi, anche per intere generazioni di dirigenti politici? Comunque sia auguri per un lungo, forse impossibile, cammino. Pci: il muro e l'albero di Giglia Tedesco ' E passato un anno dalla caduta del muro di Berlino; egualmente un anno, dalla proposta di Achille Occhetto di trasfondere il Pci in una nuova formazione politica: quella che è annunciata ormai, dalla denominazione, come partito democratico della sinistra, e, dalla immagine, come l'albero che simbolicamente dalle radici si espande e si proietta. Eppure, non si intende far crescere questo albero soltanto sulle pietre rovinate da quel muro. Da qualche tempo, ormai, il nostro vecchio schema di partito - pur tanto trasmutato - appariva, più o meno consapevolmente, stretto rispetto alle stesse idee che lo avevano generato e su cui si era sviluppato. Così la caduta di quel muro è apparsa come il suggello, la testimonianza terminale di un'epoca che è finita. L'idea secondo cui si tratterebbe soltanto della presa d'atto di un «fallimento» è semplicistica e parziale. Certo, nella caduta del muro di Berlino vi è l'immagine corposa e : - --- - - -- 5 clamorosa del crollo di un modello, quello dominante, per quasi mezzo secolo nell'est europeo, che identificava la giustizia nella statizzazione, la liberazione umana nell'edificazione del «campo socialista». Ma l'evento berlinese ha scoperchiato anche una verità più generale: il modello internazionale dominante per quello stesso mezzo secolo è alle nostre spalle e con esso la divisione dell'Europa, e del mondo, in due blocchi contrapposti; la sfida alla sopravvivenza e allo sviluppo in termini di antagonismi tra sistemi sociali e politici incomunicabili se non in termini di reciproca minaccia. Ora, invece, con la distensione fra l'Est e l'Ovest, si impone a tutti quello che Gorbaciov ha definito il nuovo modo di pensare. Ciò vale nelle relazioni tra stati e aree del mondo, relazioni che pure si sviluppano in modo più tumultuoso, contraddittorio e conflittuale di quanto forse avremmo immaginato; vale a testimoniarlo la drammatica crisi del
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