Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 10/11 - nov./dic. 1990

possibile per raggiungere me stesso: la sua sequela, l'assimilarmi a lui. cosi, l'avvenimento dell'incarnazione ha come suo primo e fondamentale risultato la costituzione di una nuova soggettività umana, di un soggetto umana rinnovato. L'unico frutto davvero essenziale e specifico del cristianesimo è proprio l'accadere di questo uomo nuovo, accadere che è storicamente evidente, come dimostra il perenne fiume della santità. Se noi uniamo entrambe le conseguenze dell'essenza del cristianesimo, ciò che inevitabilmente ne emerge è l'immagine di una esperienza della salvezza, ossia l'immagine di un avvenimento reale e storico che capita in mezzo a uomini reali e storici e che inizia a porre in atto il loro radicale rinnovamento. Detto in altri termini è l'immagine della Chiesa, intesa come la contemporaneità perenne di Cristo e come un popolo di uomini rinnovati da lui. Se questo appena detto rappresenta lo specifico del cristianesimo, cosa è, invece, il mondo? Cosa dobbiamo intendere con questa parola? Io credo che si possa senza difficoltà concordare con la definizione del mondo come della dimora dell'uomo, dell'uomo storico e concreto, preso nell'interezza della sua condizione. Se noi guardiamo all'uomo concreto, dobbiamo constatare che egli è definito da un insieme di bisogni e di aspettative ad essi' connesse, e il mondo come sua dimora ci appare come l'incessante attività di organizzazione delle risposte ai bisogni umani, di corresponsione delle aspettative, delle domande e delle speranze che l'uomo ha. Da questo punto di vista il mondo può essere definito come l'insieme degli ambienti in cui la vita umana si organizza e organizza la risposta a tutti i propri bisogni e desideri. Quello che, però, è necessario capire è che l'uomo è un essere fatto in maniera tale che, per un verso, la risposta a ciascuno dei singoli bisogni non si presenta mai come una mera e neutrale operazione tecnica, ma sempre è preceduta e fondata da un'interpretazione sia del significato di questo o quel bisogno, sia del significato del soggetto stessodel bisogno, cioè dell'uomo. Per un altro verso, e come logica conseguenza di quanto detto, nell'uomo i singoli bisogni, e quindi i singoli obiet- .{)li, IU-\~O U..11,nosso ■ iti@iid tivi dell'azione, non si esauriscono in se stessi, ma alludono tutti e sempre a un bisogno fondamentale e a un fine principale, che la coscienza umana ha sempre definito con la parola felicità. Pertanto, il mondo come ambiente è perennemente animato da una ricerca non solo delle risposte ai bisogni, ma soprattutto di un significato che sia insieme quello dei bisogni e quello del portatore dei bisogni. Il mondo così è una perenne lotta per stabilire chi sia l'uomo e dove risieda la sua perfetta felicità, cioè la sua verità e la sua salvezza. Il lungo cammino che abbiamo fatto allo scopo di chiarire i termini della questione non è stato infruttuoso; ora, infatti, abbiamo la possibilità di giungere rapidamente alle conclusioni. La principale delle quali è che l'idea di una cultura della presenza come modalità tipica e irrinunciabile dell'avvenimento cristiano non è altro che la coscienza della storicità del cristianesimo, ossia la coscienza che l'offerta di significato e di salvezza di cui il cristianesimo è carico, è qualcosa che investe l'uomo nella sua concreta e storica ricer.ca di significato e salvezza, nel mondo, negli ambienti in cui ogni uomo che sia vivo è impegnato e implicato. All'uomo che vive il dramma del proprio destino, il cristianesimo non offre semplicemente una teoria interDon Giovanni Mlnzoni. pretativa, ma la compagnia di un fatto che pretende di essere lo scioglimento di questo dramma. E lo fa storicamente e concretamente, attraverso altri uomini, che non sono degli invasati dallo spirito, ma persone che appena l'attimo prima si sono imbattute in questa stessa compagnia. Nessuna mediazione, di tutte quelle possibili e anche necessarie, dell'annuncio cristiano può darsi se esso non abbia preliminarmente raggiunto il mondo e gli uomini là dove essi sono e cosi come. sono. Da questo punto di vista parlare di presenza significa superare la rigida opposizione fra Chiesa e mondo, che li vorrebbe come due agenzie che si occupano di problemi diversi - spirituali la prima, materiali il secondo - con metodi diversi - la predicazione e l'azione. La Chiesa si presenta qui come quella parte di mondo che ha già incontrato Cristo e che lo ha accolto, il mondo è quell'altra parte che o non l'ha ancora incontrato oppure non l'ha ancora accolto. A perenne rischio della prima sta la possibilità del tradimento, per il secondo invece l'ostinato rifiuto di accettarlo. Ha l'avvenimento cristiano così riconosciuto un significato politico? Certamente si, e direi che è enorme. Tale significato, però, non coincide affatto con la cosiddetta «terza via»: la Chiesa non ha né potrebbe avere ricette o teorie sull'organizzazione sociale, economica e politica della città umana. Non coincide neanche con l'idea di un partito dei cristiani: questa è certo una via percorsa e percorribile, a volte può essere anche una via necessaria e sacrosanta, ma in essa non si condensa il significato politico del cristianesimo. Quest'ultimo, piuttosto, sta proprio nello stesso tema della presenza. Chiediamoci infatti: presenza di chi? E dovremo rispondere: la presenza di un SO$gettoumano rinnovato. Dunque, il significato politico del cristianesimo risiede nella continua generazione di uomini nuovi e del popolo che essi costituiscono - un'entità etnica sui generis secondo Paolo VI-. O, per dirla con le parole di quell'operaio polacco che, a un giornalista occidentale che gli chiedeva, durante uno degli scioperi dell'80, se la Chiesa avesse organizzato il sindacato, rispose: «No. Il sindacato l'hanno fatto gli operai. Ma la Chiesa ha fatto gli operai».

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