Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 10/11 - nov./dic. 1990

{)!J, Bl.\~CO '-Xlt BOSSO 11#1h1lil La ''culturadellapresenza'' I l tema della «cultura della presenza», pur nel suo sapore eccessivamente sloganistico - probabile frutto dell'ormai onnivora deformazione giornalistica che ama le etichette, spesso a tutto danno di una reale comprensione -, pone immediatamente sul tappeto due contenuti fondamentali: quello dell'avvenimento cristiano e quello del mondo. Infatti, il concetto di presenza racchiude in se stesso sia il dato di qualcuno o qualcosa che è presente, e che per essere presente deve prima di tutto essere, sia il dato del luogo in cui essere presente, venendo meno il quale la «presenza» sarebbe ridotta a un astratto librarsi sul vuoto. E, avvenimento cristiano e mondo sono esattamente i termini essenziali in cui si riassume tutto il nostro problema, perché ci permettono di ricondurlo alle sue appropriate dimensioni. Allora, il nostro primo compito sarà quello di mettere in chiaro le caratteristiche proprie, i concreti e precisi tratti del volto di ognuno di questi due termini. Se ci si chiedesse quale sia l'essenza costitutiva e irrinunciabile del cristianesimo, al di là delle pur ricche e interessanti acquisizioni che duemila anni di vita gli hanno consentito, la risposta non potrebbe che essere l' incarnazione. Kai o /ogos sarx egeneto, e il Verbo si è fatto carne: non è solo l'annuncio squillante con cui si apre il vangelo di Giovanni (1, 14), ma è anche la prodigiosa sintesi di tutta la verità su se stesso - e sull'Essere - che il cristianesimo possiede. Qui stanno i suoi alfa e omega, e tutto quanto gli necessita per identificarsi e per essere. L'avvenimento cristiano è esattamente l'avvenimento, il fatto, che Dio assume la carne e la costituzione umana, che si fa uomo fra gli uomini, che nasce in un'ora e in di Marco Cangiotti un luogo precisi, in una parola: che entra nella storia. Da questo originale statuto sorgono almeno due importantissime conseguenze. La prima di esse riguarda il valore e il significato della storia e dell'essere storico. Lungi dall'essere un precario contenitore, il tempo si rivela come il luogo e la condizione decisivi per la salvezza della vita umana. Se la coscienza antica poteva dire del tempo che esso è una continua rovina, ruit horam, con l'avvento della coscienza cristiana il tempo diventa quello che i mistici medievali chiamavano il nunc stans, il momento in cui la rovina viene definitivamente annullata, l'attimo in cui la salvezza si fa presente, il punto in cui la vita sconfigge la morte. Da quell'attimo nel tempo in cui l'Eterno si è incarnato, la storia è diventata con il luogo della dissipazione e della sconfitta dell'uomo, ma il luogo della verità. Ha un profondo significato la frase che Giorgio La Pira amava ripetere, che i cristiani sono i veri «materialisti», ed è esattamente il senso appena enunciato. Dunque, per la coscienza cristiana non vi è salvezza se non nella storia, certo: non dalla storia, ma nel tempo, con tutta la concretezza che ciò comporta. Il rischio più grande che questa consapevolezza può correre, e che di fatto oggi più che mai corre, è quello di essere ridotta a una consapevolezza archeologica. Ossia, pur ammettendo la storicità dell'avvenimento di Gesù Cristo, figlio di Dio, incarnatosi, è possibile confinare questa storicità a quel tempo e a quel luogo dell'inizio, riservando al nostro concreto e pulsante presente una specie di memoria storica e culturale di esso, e nulla più. Invece, la presenza di Cristo nella storia è perenne, come ben dice lo stupendo pensiero di Pascal. La storicità dell'incarnazione non significa solo che Dio è entrato nella storia, ma che vi permane: significa la sua perenne contemporaneità; e non una contemporaneità metaforica, ma reale, cioè fisica, nella piena accezione di significato della parola. Il discrimine unico fra chi è oristiano nel senso della confessione di Pietro: «Disse loro: "Voi chi dite che io sia?". Rispose Simon Pietro- "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente"» (Mt 16,15-16), e chi è cristiano nel senso solamente - anche se assi nobile - culturale del termine, sta tutto qui. E mi pare che questo sia anche il significato dell'osservazione che Claudio Napoleoni faceva a Raniero La Valle quando diceva che tutto il problema è quello se Cristo è realmente, consustanzialmente presente nell'ostia consacrata. La seconda conseguenza dell'essenza del cristianesimo è quella che Giovanni Paolo II ricorda al numero 8della Redemptorhominis, quando dopo aver osservato che in Cristo, Dio rivela all'uomo se stesso, aggiunge che in Cristo, Dio rivela all'uomo anche l'uomo stesso. Si, perché la più alta testimonianza resa a Cristo, dopo quella petrina sopra ricordata, è stata quella, paradossalmente inconsapevole nella sua verità, resagli da Pilato: Eccehomo, ecco l'Uomo (lo, 19, 5). Gesù Cristo non è solo la perfetta immagine del Padre, ma è anche contemporaneamente la perfetta immagine dell'uomo. In lui, per la prima volta, la somiglianza dell'uomo con Dio è stata pienamente adeguata. lo, uomo, ricevo così la testimonianza di quel che in verità sono, la misura di me stesso e, nel contempo, l'indicazione dell'unica via

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