eccezione, più eminente fra tutte la battaglia del card. Ottaviani contro il primo centro-sinistra) il socialismo italiano è considerato un soggetto politico con cui si può collaborare, con cui ci si può intendere per la gestione di fette di potere politico e istituzionale, ma con cui non c'è dialogo e verso cui si mantengono sbarramenti di supposta inconciliabilità. In anni più recenti abbiamo visto convivere le proficue intese che hanno portato, con un presidente del consiglio socialista, al concordato del 1984; e le risorgenti polemiche ideologiche contro un socialismo sommariamente accusato di laicismo. Ci sono stati i ripetuti e gravi moniti elettorali dei vescovi, indiscriminatamente rivolti ad ogni scelta non democristiana dei cattolici. Ma soprattutto si è avuta per molto tempo più di una sensazione che il cosiddetto «mondo cattolico» (altra categoria molto usata, ma che richiederebbe una non facile e non breve definizione) fosse in realtà più propenso a tentare il dialogo con il partito comunista ritenuto, almeno nella versione berlingueriana, più disponibile sul piano dei riferimenti ai valori «morali». C'era e c'è in questa propensione (che non è finita anche se sta «finendo» il Pci, come dimostrano gli avalli lungamente protratti dei gesuiti o di parte di essi ai confusionari e pericolosi conati politici di Orlando) un misto di anticapitalismo, di 'antimodernismo, di anticonsumismo, di pacifismo, di terzomondismo, di moralismo. Un misto di idealità e di velleità, di solide premesse e di deboli e confuse conseguenze, di idealismo e di integralismo, di Sillabo e di Pacem in terris. Un misto ben rappresentato perfino nell'atteggiamento di Cl. Cl che è peraltro forse l'unica, e anche perciò più apprezzata, interlocutrice dei socialisti nella galassia delle organizzazioni cattoliche; ma che ha dato talvolta l'impressioneche anche questo suo dialogo non fosse un vero dialogo, ma la ricerca di un'intesa fra comuni avversari del «demitismo». C'è, in questo atteggiamento del «mondo cattolico», una sottovalutazione dell'autonomia della dimensione politica. Il rifiuto di considerare la politicauno spazio proprio: che è sostanzialmentelo spazio della mediazione in ~li• Bl.\~CO \Xli. HOSSO •ii•#hld 1921. Luigi Sturzo nel suo studio. ordine alla convivenza. E che come tale, se non può certo prescindere da riferimenti morali (avvertendo però che non c'è soltanto da considerare la morale sessuale o familiare) non può però confondere la morale con la legge positiva; per la semplice ma fondamentale ragione che la morale indica i traguardi massimi proposti, mentre la legge positiva (e perciò anche la politica) deve indicare i confini minimi obbliganti. Detto tutto questo, da cui la riflessione si è prevalentemente indirizzata sul versante «chiesa», resta da dire qualcosa anche per quanto riguarda il socialismo italiano. La sua derivazione da matrici anticlericali sulle quali si è innestato (per quanto precariamente e stentatamente) il materialismo marxista, è un fatto storico, storicamente spiegabile; e comunque anche storicizzabile, nel senso che appartiene ormai al passato anche se non è da escludere che qualche residuo ancora ne pesi. Il nuovo corso socialista degli ultimi quindici anni si è poi caratterizzato soprattuto per la sua sana iniezione di pragmatismo, peraltro attinto in dosi abbondanti, soprattutto nella pratica periferica. E mentre nella politica italiana, per varie contingenze, si degrada il riferimento a quadri di valori originari senza che essi vengano sostituiti da nuovi quadri di riferimento, anche il socialismo italiano corre dunque per queste ragioni generali e per ragioni sue lo stesso pericolo. Questo, che è già un problema in sé, lo è ancor più marcatamente per i rapporti del socialismo con i cattolici italiani. Perché è pur vero che i cattolici (anche se a mio avviso sempre meno) avvertono il peso dei moniti elettorali dell'episcopato. Ma è anche vero che per conto suo la parte migliore di essi, e proprio quelli - in fondo - che avrebbero la maturità sufficiente per un comportamento autonomo, possono avere per loro conto e per loro riflessione qualche riserva nei confronti di un socialismo troppo pragmatico. Di un socialismo, per di più, che in alcune sue componenti neo-ideologiche esaspera comportamenti riferibili a un modernismo postindustriale a un neolaicismo, a un veterofemminismo. E ciò rischia di sottrarre al socialismo italiano non solo voti dall'esterno, ma anche contributi dall'interno: da parte cioè di quei cattolici che sono nonostante tutto socialisti, ma che in quanto cattolici continuano a comportarsi come «lingue tagliate». È un fenomeno quest'ultimo, in via di superamento. L'azione e i dibattiti di circoli e associazioni (come Riformismo e Solidarietà e i CircoliTobag1) e di singoli socialisti anche di cultura laica e però aperti alla riflessione sui valori fondamentali e sulla pregnanza etica delle scelte, stanno proponendo questa riflessione a dimensione più ampia. Ci sono le premesse per la riapertura del dialogo. Ma sarà bene percorrere questa strada con impegno, senza paralizzarsi sulla domanda polemica circa a chi si debba attribuire la colpa se finora questo dialogo non c'è stato o è rimasto interrotto.
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