giato i riformisti messi in minoranza nei rispettivi schieramenti proprio in nome delle ragioni astratte di un'alleanza politica «riformista». I democristiani, invece, sacrificano alla politique d'abord proprio alla fine degli anni '70. La sinistra democristiana rinuncia alle proprie radici nella presunzione di potere davvero esercitare la leadership alla quale è stata chiamata per l'esaurimento della prima generazione dorotea; e si lascia irretire in un disegno politico tanto ambizioso quanto estraneo alle sue tradizioni, quello della cooptazione del Pci. Forse fra i due episodi non c'è solo coincidenza temporale. Chi ha concepito il ruolo della sinistra democristiana solo pensando all'occupazione di una rendita di posizione, della dogana fra una sinistra confusa e confusionaria e una Dc moderata e dorotea, non può non allarmarsi per il processo di chiarificazione a sinistra. Oggi l'orizzonte non è diver- ~li. Bl.\'.\:CO '-Xli.BOSSO 11#1h1ihi so. La sinistra democristiana insiste pervicacemente sulla politique d'abord. Tanto pervicacemente da sfiorare il cupio dissolvi. L'iniziativa referendaria in materia elettorale è esemplare. L'obiettivo di azzerare la rendita di posizione del Psi fa premio non solo sull'esigenza di mantenere la rendita di posizione propria (che sarebbe a sua volta azzerata in un quadro bipolare), ma perfino sulla necessità di salvaguardare il ruolo democratico dei partiti di massa. Un parlamento di notabili e di espressioni localistiche e corporative farebbe rabbrividire Sturzo e Dossetti, oltre ad essere assolutamente inadeguato alle grandi scelte che il momento storico impone, vuoi nei confronti della dissoluzione del blocco sovietico che rispetto al riacutizzarsi del conflitto Nord-Sud. Per non parlare dei contenuti. In nome della politique d'abord Ciriaco. De Mita fu avaro di sostegni nella difesa referendaria della politica dei redditi, ultimo episodio felice del1'incontro fra riformismo cattolico e riformismo socialista. Eppure, non c'è alternativa. Se oggi si vuole che la politica italiana imbocchi di nuovo il sentiero stretto del riformismo, il dialogo fra riformisti cattolici e riformisti socialisti è obbligato. Anche per assicurare un approdo riformista alle convulsioni del Pci. Il cui ruolo riformista, finora, non è emerso mai. Né in epoca di centro-sinistra, né dopo. È un cammino accidentato, quello che si prospetta. Può sembrare più facile la scorciatoia dell'ingegneria elettorale. Ma la crisi di governabilità del paese, e la stessa crisi del riformismo che oggi viviamo, non si sanano con le scorciatoie. Si sanano ricostruendo consenso attorno a una strategia di riforme. L'ingegneria elettorale, se dovrà venire, verrà dopo. Chiesa e socialismo italiano: <<Intese>s>enza dialogo e ' è una strana dissociazione, psicologica e pratica, nei rapporti fra la chiesa italiana e il socialismo italiano. Mentre sul piano pratico registriamo da tempo rapporti positivi e costruttivi, sul piano del confronto e del possibile incontro teorico ed ideale c'è una strozzatura. Si potrebbe dire che si percorre, in sostanza, la strada angusta di intese senza dialogo; una strada che non si sa dove possa portare, che forse non porta in nessun posto, che dovrebbe (dovrà) essere cambiata. di Gabriele Gherardi So bene che bisogna andare avanti con ordine. E che quindi, parlando di chiesa, bisogna innanzitutto distinguere. Non tanto, come si è soliti fare, fra «chiesa-istituzione» e «chiesa-comunità». (Questa, così formulata, mi pare una distinzione utile solo ai fini di una polemica intraecclesiale ormai datata. Chi può dire, in fondo, dove comincia e dove finisce la «chiesa-comunità?» A voler essere conseguenti, dai suoi confini non si possono escludere né la stessa «chiesa-istituzione» né le realtà «altre»: anche il socialismo, o almeno i socialisti, o almeno una parte di essi. In termini teologici la «chiesacomunità» è essenzialmente una realtà misteriosa in qualche modo invisibile agli uomini). Bisogna semmai distinguere sul piano pratico le istituzioni ufficiali della chiesa dalle organizzazioni, ufficiali e non, dei credenti. Ma dal punto di vista dell'assunto iniziale di questa riflessione, il risultato non cambia. Da tre decenni almeno (sia pure con qualche
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