B mano: dovevano «collaborare» in tempo elettorale, dovevano tacere e nascondersi in ogni altra occasione. Già con Berlinguer sulle questioni cruciali il contributo dei «cattolici» fu molto ridotto. Cominciò a prendere il sopravvento un'anima laicista del partito, che trascurò quasi del tutto, e poi del tutto, l'apporto dei cattolici. Le personalità che erano entrate nelle liste furono in pratica marginalizzate, e divennero testimoni vivi di un sogno passato. Certo, la figura e il carisma personale di Enrico Berlinguer erano stati decisivi, e tali restarono fino alla sua morte (giugno 1984); le sue scelte della «austerità», pur tanto malintesa, e della «questione morale», furono condivise da molti cattolici, ma già nella questione della legge 194 sull'aborto la gestione del Pci fu più pesante, e meno ri- _\)-'-I. BI.\ ~CO u._11,nosso 11#101IA spettosa della coscienza religiosa. Ci fu poi, e pesa molto, il «tradimento» a proposito del Concordato, quando il Pci non solo non ascoltò la voce di quei «cattolici» che avevano aderito, e che erano in genere molti critici verso ogni politica concordaria, ma in pratica li emarginò e li ridusse al silenzio. Era l'inizio della fine. Con la morte di Berlinguer e l'infelice gestione di tutta la politica «religiosa» del Pci degli anni '80 si chiude un'epoca. Non è, o almeno non è solo, un discorso relativo alle personalità dei segretari che hanno guidato il partito. È certo che ha prevalso, salvo rituali richiami ricorrenti, il disinteresse verso l'area dei cattolici, e che è invalso nel Pci un tatticismo più o meno trasversale attento alla realtà della Democrazia cristiana, ma non ai valori che la tradizione popolare cattolica incarnava. Il Pci degli anni '80 si è adeguato ai valori correnti di consumismo e di desideologizzazione, pur doverosa, ma che lascia il vuoto dove prima c'era il dogmatismo, la tattica dove prima c'era il moralismo, il compromesso dove prima c'era larigidezza anche eccessiva. In politica nessuno è profeta, ma non credo che i tempi del «credito», di quel «credito, siano destinati a tornare. È possibile che la «laicizzazione» doverosa di tutti i partiti, Dc compresa, porti i cattolici italiani a capire di non dovere essere necessariamente una tra le forze politiche in campo, ma presenti, con la ricchezza e con la validità dei loro grandi valori, in tutte le formazioni politiche, nuovo Pci o Pds incluso, ma si tratta di un compito, di una prospettiva, di una speranza, e per ora nulla, o quasi, fa prevedere il suo esito. Cattolici riformisti: una storia attuale I n principio fu la Cisl. Nel deserto del riformismo che fu l'Italia degli anni '50, toccò al sindacato «cattolico» custodire il testimone del riformismo socialista. Non era scontato. Forse lo stesso confronto fra Pastore e Rapelli sull'affiliazione internazionale del sindacato scissionista ebbe questa posta in palio. Comunque la cultura cristiano-sociale non era - e non è - necessariamente riformista. Può avere esiti radicali. Può attardarsi in posizioni conservatrici. Può fare ricorso all'ideologia e all'appartenenza per coniugare acrobaticamente radicalismo e conservazione, per andare - come pretendeva dieci anni fa Sandro Fontana, come pretendono oggi molti suoi contestatori - «oltre il riformismo». Quella riformista fu quindi per la di Luigi Covatta Cisl una scelta. E quello della Cisl fu, per i riformisti socialisti, un approdo sicuro nel mare in tempesta dell'egemonia stalinista sulla sinistra italiana. Negli anni '60, col centro-sinistra, i riformisti sperarono di poter uscire dalle catacombe. Non fu così. Nella Dc prevalsero i moderati. Nel Psi, in nome della po/itique d'abord, le ragioni del riformismo furono spesso dimenticate. I riformisti cattolici e quelli socialisti finirono in minoranza. Fino magari a trovarsi schiacciati, più o meno consapevolmente, su posizioni radicali. Resta il fatto che se si confrontano i risultati di quegli anni con quelli del decennio successivo - lo statuto dei lavoratori con la riforma sanitaria, il piano Giolitti con la politica industriale dei secondi anni '70, la proposta Sullo con le politiche urbanistiche dell'unità nazionale, la scuola media unica con le odierne contorsioni sull'elevazione dell'obbligo scolastico - non c'è match: la cultura riformista selezionava obiettivi e forze traenti, quella delle grandi coalizioni giustapponeva il nuovo al vecchio, moltiplicando i privilegi e le posizioni di rendita. Nel Psi il riformismo torna di casa nel '78. Nella Dc rischia di essere messo alla porta negli stessi anni. I socialisti, col «Progetto» del congresso d1 Torino, ristabiliscono il legame culturale col socialismo europeo, e lo fanno aprendosi a tutta la cultura riformista, laica e cattolica. Non mancano, nel «Progetto», reminiscenze gauchistes: ma sono il frutto del paradosso degli anni '60, di quella febbre che ha conta-
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