Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 10/11 - nov./dic. 1990

tensione, la segreteria Berlinguer, le candidature di «cattolici» nelle liste del Pci, la lettera di Berlinguer a mons. Bettazzi, la presa di coscienza sul problema femminile e sui ritardi «cattolici» in materia, l'esigenza di una solidarietà che aprisse una nuova fase nella realizzazione di una società più giusta, o almeno meno ingiusta. Tutti questi, ed altri ancora, sono stati fattori di un cambiamento di mentalità, di cultura, di atteggiamento psicologico che a poco a poco ha portato al «credito» di cui ci stiamo occupando. Vale, tuttavia, la pena di prendere in esame alcuni di questi fattori, e in particolare quelli strettamente ecclesiali, quelli di carattere politicoculturale-etico, e quelli propri delle trasformazioni della Dc e dello stesso Pci. Tra i fattori ecclesiali ho nominato papa Giovanni e il Concilio. Fu come il crearsi di una mentalità nuova, di un clima di «dialogo» spontaneo che si sostituiva allo spontaneo «arroccamento» precedente. Il richiamo giovanneo a guardare ciò che unisce più che ciò che divide, espresso con la stessa esistenza di quell'uomo-papa e della Chiesa del Concilio, lasciò il segno. Egli ne parlava in campo ecumenico. Il passaggio in politica fu spontaneo. Dal punto di vista dottrinale fu essenziale, per aprire nuove vie ai cattolici anche verso il Pci, la distinzione che papa Giovanni stesso espresse, nella «Pacem in Terris» (1963), tra «false dottrine filosofiche», con cui non c'era compatibilità cristiana alcuna, e «movimenti storici» che ad esse si riferivano, con cui invece, in circostanze particolari, poteva esserci incontro e collaborazione. Quello era anche il tempo del centro-sinistra, e il Psi di Nenni, su cui era caduta insieme con il Pci la scomunica del '49, entrava nel governo, nonostante accanite resistenze ecclesiastiche a tutti i livelli. Lo stesso Pci cambiava: con Togliatti•era rimasto intatto, in linea di principio, l'ateismo come matrice essenziale di ogni comunismo, anche se il partito si dichiarava aperto anche ai credenti sulla base di un programma politico. Ancora nel suo ultimo documento, il «Memoriale di Yalta», Togliatti parla di «superamento» della coscienza religiosa: il Pci era un partito «ateo» per sua natura, ma aperto per scelta .L).!J. Bl\:\'CO l.X11, nosso •h•#hiii strategico-politica anche ai credenti. Da Gramsci in poi era stato chiaro che il potere in Italia non si raggiungeva se non conquistando anche l'assenso dei cattolici. Fu la segreteria Berlinguer che accelerò subito, sul punto del rapporto con la religione e con la coscienza cattolica, l'evoluzione del partito. In vari momenti successivi ci furono i cambiamenti dello Statuto del Pci, le affermazioni congressuali e infine, nel 1977, a coronare un cammino almeno teorico, la «lettera» al vescovo Bettazzi. In essa si dichiarava, con la massima solennità possibile, che il Pci non era un partito «ateo», né «teista», né «antiteista». A quel punto era già avvenuta la grande operazione della apertura delle liste a personalità cattoliche note come tali e che tali volevano restare. Furono momenti in cui si creò, in molti ambienti cattolici, una grande corrente di «simpatia» politica per Enrico Berlinguer e per il suo partito. Decisiva, per questo, era stata l'esperienza al tempo del referendum sul divorzio. Tra l'autunno del 1973 e il maggio 1974 ci fu la campagna per l'abrogazione della legge sul divorzio. Il Pci fu molto cauto, e lottò per la conferma della legge, ma con l'esplicito ricononoscimento dei valori dell'unità e della indissolubilità nella famiglia. La Dc di Fanfani non ebbe la forza di operare la distinzione doverosa tra il piano dei principi e quello della prassi, tra il riconoscimento dei valori e la loro possibile difesa nella realtà complessa della vita della gente. Ci furono anche pesanti interventi ecclesiastici, in cui si andò oltre la doverosa riaffermazione della dottrina cristiana, e ciò scontentò molti credenti. Il 12·maggio del '74 fu il trionfo del «no» e da una parte, almeno in teoria, c'erano la Dc di Fanfani e il Msi di Almirante, dall'altra tutti gli altri, ma con l' «egemonia» quantitativa della forza del Pci, determinante. Berlinguer fu molto attento, allora, a non trasformare la battaglia referendaria in questione di principi e di valori: si trattava della possibilità legale di rimediare alla realtà diffusa di fallimenti di coppie, non della introduzione di una negazione del valore del matrimonio. Furono certamente milioni i cattolici convinti che in quella occasione si trovarono in contrasto con la Dc di Fanfani e con le direttive ecclesiastiche in materia che toccava anche la politica. Il resto venne facilmente: l'anno dopo fu l'ingresso di personalità cattoliche, che avevano combattuto per il no alla abrogazione della legge Fortuna, nelle liste, poi fu la «conquista» del Comune di Roma alla «Giunta rossa» di Giulio Carlo Argan, poi, appunto, la lettera al vescovo Bettazzi, i cambiamenti di Statuto nei Congressi del Pci. Enrico Berlinguer aveva avviato il cammino di «laicizzazione» del Pci, il distacco dall'integralismo ateo e dal blocco sovietico, il superamento delle fratture antiche tra i lavoratori italiani. Va tenuta presente, anche, e ha contato molto, la crisi della Dc. Il partito non si riprese più, sotto il profilo ideale, dalla vicenda della legge sul divorzio. Anzi: le cose andarono sempre peggio. Alle difficoltà sul piano dei valori si aggiunsero le sconfitte politiche e la crescita numerica del Pci. La caduta di Fanfani, la segreteria di Zaccagnini, la solidarietà nazionale, i governi di unità contro il terrorismo e contro l'esecuzione furono le tappe di una perdita vistosa di credito nel mondo cattolico. Zaccagnini non bastò: la sua straordinaria figura morale non riuscì a cambiare il partito. Arrivò l'era De Mita, che è finita come sappiamo. Oggi la segreteria Forlani si regge su uno stato di necessità, e la Dc scricchiola sempre più. Politicamente, e dal punto di vista del potere, resta sempre forte, ma nessuno oserebbe più, senza far ridere tutti, dire che è il partito della coerenza con i valori cristiani. Torniamo alla metà degli anni '70. Furono molti, credo, anche tra gli intellettuali cattolici e tra i preti, coloro che ebbero l'esperienza nuova, allora esaltante, di potersi accostare, anche come testimoni della fede cristiana, al popolo comunista, che in gran parte ancora non aveva digerito la scomunica, che rifiutato «dai preti» non aveva rifiutato Cristo, almeno sul piano personale ed emotivo. Si aprì, davanti a molti cristiani, una stagione di testimonianza cristiana e di annuncio tra i comunisti. Occorre riconoscere, ora, che è stata anche una «illusione»: la struttura portante del Pci restò chiusa ad ogni apporto davvero cattolico. I credenti dichiaratamente tali furono accolti, ma lasciati sulla porta, e col cappello in

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==