tà l'aveva già sperimentata ai tempi della grande guerra nella «Lega» di Giuseppe Donati ed Eligio Cacciaguerra. Ci pare che ciò possa bastare a dii.)_p. BIANCO U..11. HOSSO •b•ii•iii mostrare come la pastoralità vera nulla abbia a che fare con i discipli~amenti politici clericali. E che, per converso, si possa esser cristiani laici autentici proprio rinunziandovi: anticipando per tutto il popolo dei fedeli una condizione di normalità pluralistica in campo politico, dopo un così lungo, troppo lungo, stato d'eccezione. Cattolici nelle liste Pci: un'esperienza riuscita? Nel 1976, di fronte alla candidatura di noti cattolici nelle liste del Pci, Pietro Scoppola affermò che si trattava di una scelta non condannabile sul piano religioso, ma di un errore politico. Il volto onesto di Zaccagnini offriva allora un segno di speranza nel rinnovamento della Dc: quelle candidature facevano diminuire la speranza. Anche nel senso che davano un'immagine contrastante con la politica òel compromesso storico, intesa (riduttivamente) come accordo ad ogni costo fra Dc e Pci. Negli anni che seguirono molti credenti variamente impegnati mi hanno ripetuto la tesi di Scoppola: sarebbe stato meglio se foste «rimasti», avreste potuto aiutare di più sia la Chiesa sia la Dc. Esiste, d'altronde, e non poco diffuso, un giudizio di fallimento su quella esperienza. L'operazione del '76 non ha avuto sviluppi, i cattolici nel Pci sono scomparsi, la loro influenza s'è ridotta a ben poco, o nulla addirittura, i rapporti fra il partito e i credenti sono sempre problematici, anzi sono peggiorati, dal momento che, nella gestione del Pds, o come si chiamerà, sembrano più sensibili di un tempo le spinte radicaleggianti, libertarie, individualiste, incompatibili con la fede cattolica. Mi guardo bene dal pretendere di poter tracciare un bilancio articolato e definitivo: storicizzare la questione esidi Mario Gozzini gerebbe una ricognizione attenta di quel che è avvenuto da allora, non solo a Roma ma anche in periferia. Mi limiterò ad alcune annotazioni in gran parte assai personali, non so quanto utili a un futuro studio approfondito. 1. Non ho mai creduto molto al cattolicesimo politico: il Vangelo dice il dove e il perché ma non il come. Capisco bene le circostanze che hanno determinato lo sviluppo imponente, nel dopoguerra, del partito Dc, ma sono sempre stato convinto si tratti di circostanze provvisorie, non di un'esigenza permanente, e spero che anche in Italia, come in altri paesi a maggioranza cattolica, si possa fare a meno, prima o poi, del partito «cristiano». Se nel 1976 accolsi la candidatura con l'etichetta «cattolica» in fronte (dopo aver detto no ad analoghe precedenti proposte) fu per far emergere, anche in modo clamoroso, la realtà sommersa, o clandestina, di molti credenti già militanti e votanti comunista. In altre parole: si trattava di mostrare che la scomunica del 1949, o almeno il suo uso strumentale a fini immediatamente politici, era ormai fuori corso. Rischiammo grosso ma avemmo ragione. Scoppola ci aiutò. Paolo VI, pur parlando di «tradimento», ma in una prospettiva non certo di ortodossia, e quasi affettuosa, bloccò sul nascere i tentativi curiali di rinverdire contro di noi la scomunica stessa. 2. Sulle tesi del XV Congresso (1979) in ordine al modo laicizzato di concepire il marxismo, alla rottura dell'equazione fra trasformazione socioeconomica e scomparsa della religione, alla libertà di coscienza degli iscritti nelle scelte filosofiche e religiose, i parlamentari cattolici eletti nelle liste del Pci esercitarono un'influenza non irrilevante, più riservata che gridata, documentabile. Anche se il partito, a torto, non vi dette rilievo. 3. Sulla questione dell'aborto - ancora oggi considerata da molti cattolici una sorta di spartiacque - ci opponemmo ad approvare in Senato il testo pervenuto dalla Camera e riuscimmo a modificare in qualche misura l'impianto radicaleggiante. Ne derivò la possibilità di combattere su due fronti la successiva battaglia referendaria. I nostri voti erano determinanti: dicendo no, e affossando la legge, ci saremmo guadagnata una popolarità a buon mercato. Scegliemmo invece la via più difficile: quella di aprire una cultura diversa di affrontamento del problema. Oggi anche Carlo Casini riconosce che il valore della vita nascitura non può essere affidato alla tutela penale. Il Pci, allora, ci seguì. Altro è il discorso per quanto concerne l'attuazione piena della filosofia che ispira la legge: il partito s'è diviso fra chi l'ha accolta, nel senso di una socializzazione che tenda a «rimuovere le cause» dell'a-
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==