,l)_lJ. Ul.\'.\CO u._11. nosso 1111 #0id Chiesa italiana e cattolici in politica Nella seconda metà dell'Ottocento, quando prende corpo il processo di unificazione nazionale e matura il contrasto tra Stato liberale e Santa sede, con la questione romana e la fine del potere temporale, si assiste anche ad una prima fase di impegno politico del laicato cattolico, che avviene sotto la tutela e il controllo delle gerarchie ecclesiastiche, che favoriscono la nascita di una solida organizzazione, l'Opera dei congressi e dei comitati cattolici, animata da una fedeltà assoluta al Papa e alla Chiesa e da una feroce opposizione al liberalismo. Il non expedit, il divieto di partecipare alle elezioni politiche, diviene l'aspetto più appariscente del rifiuto delle nuove istituzioni e quasi una sfida allo Stato nazionale. Si tratta di una protesta basata sul rimpianto del passato, sulla difesa di una società rurale arcaica, su un ibridismo politico-religioso incapace di recepire il delicato problema del rapporto tra fede e politica, tra società civile e società religiosa, su un tradizionalismo che non riesce a cogliere il segno dei tempi nuovi, rifiutando le istanze conciliatoriste del cattolicesimo liberale che auspicava un incontro tra la fede e la cultura moderna. Una protesta, però, che andò via via acquistando una più chiara consapevolezza sociale e politica, a contatto con i molti problemi di un paese ancora fragile nelle sue strutture. Non è un caso che dalle fila di questo movimento, alla luce della crisi che segna la vita pubblica italiana alla fine dell'Ottocento, maturi un crescente impegno di natura sociale, che entra in concorrenza con il movimento operaio e socialista. I cattolici organizzano le categorie più umili, le scuole, il credidi Francesco Malgeri to, difendono i contadini sottoposti a contratti capestro, fondano società di mutuo soccorso, casse rurali, cooperative, tutta una serie di iniziative che consentono al movimento cattolico di superare la fase «difensiva» e la vecchia polemica temporalista e legittimista. Questo processo si colloca nel quadro della visione pastorale di Leone XIII. L'enciclica Rerumnovarum (15 maggio 1891) offre al movimento cattolico non solo le linee della dottrina sociale della Chiesa ma anche la chiave per superare un impegno sociale a lungo rimasto invischiato in una prospettiva di tipo assistenziale e caritativo. Sono soprattutto i giovani a dar vita ad un movimento che prende il nome di «Democrazia cristiana» e che raccoglie gli entusiasmi e l'impegno di una intera generazione di cattolici, i quali colgono l'esigenza di misurarsi con la nuova realtà, che imponeva una visione e una struttura più libera e moderna sul piano organizzativo politico e sociale da un lato, e sul piano religioso e culturale dall'altro. La gerarchia ecclesiastica, soprattutto con il nuovo pontificato di Pio X, non favorisce questa aspirazione. Giudica opportuno non dare un autonomo spazio all'impegno politico dei cattolici, ripiegando, invece, sulla soluzione «clerico-moderata», vale a dire sulla parziale abolizione del non expedit, consentendo ai cattolici di partecipare alle elezioni politiche, a sostegno di candidature liberali, ove esisteva il rischio di un successo socialista. Non manca qualche isolata candidatura di cattolici a titolo personale. Nel complesso, i cattolici che vanno a votare (nel 1904, 1909 e 1913) si muovono sulla spinta della paura più che sulla base ■ JS di un programma politico, facendo quadrato in difesa di quel sistema liberale che avevano aspramente combattuto negli anni precedenti. Questa nuova direttiva porta i gruppi più dinamici e impazienti del cattolicesimo politico italiano a mordere il freno e ad avviare, anche in contrasto con le autorità ecclesiastiche, tentativi autonomistici di impegno politico e sociale, destinati a scontrarsi duramente· con le direttive del Papa, e con il clima di repressione antimodernista di quegli anni, come testimonia la vicenda di Romolo Murri e della Lega democratica nazionale. Solo al termine del primo conflitto mondiale, con il partito popolare italiano di Luigi Sturzo, giunge a maturazione il travagliato processo del movimento cattolico italiano, grazie anche al nuovo respiro offerto dal pontificato di Benedetto XV, che fàvorisce, sia pure indirettamente, il superamento della vecchia e ibrida impostazione politico-religiosa, e l'acquisizione per i cattolici impegnati in politica di istanze e di strumenti nuovi e moderni. L'aconfessionalismo, proclamato dal partito popolare a tutela della sua autonomia e libertà d'azione sul piano delle scelte politiche, segna il salto di qualità più significativo compiuto dalla cultura politica dei cattolici italiani dall'unità in poi. Sturzo riusci a portare a compimento una operazione «rivoluzionaria», realizzando un partito di massa, laico, democratico, sensibile alle esigenze politiche, sociali, amministrative e morali dell'Italia di quegli anni, animato da una carica etica profonda, da un richiamo costante alle responsabilità del cristiano, cui era affidato il compito di portare il segno della sua presenza e dei suoi valori nella vita pubblica.
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