Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 10/11 - nov./dic. 1990

~.tJ,BIANCO l.XII, llOSSO iiiiiii•it sua progressiva incapacità di indirizzo e di orientamento complessivo. Il mercato chiama in causa lo Stato per fornire sostegni ed erogazioni compensative. Lo Stato a sua volta chiama in causa il mercato per ottenere alibi e coperture. In ogni caso il pluralismo, la partecipazione e il decentramento vengono drasticamente tagliati o ridotti a strumenti di pubbliche relazioni. Ai due modelli sommariamente richiamati se ne può affiancare un terzo, in via di ipotesi, capace sia di tener conto delle diversità, dei molteplici aspetti della complessità, sia di aggregarli intorno a valori e proposte progettuali largamente condivisi. In altri termini, potremmo parlare di una gestione comunitaria e solidale della complessità. Certo, innovazione e trasformazione dei sistemi rappresentano una discriminante ineludibile. Si tratta di vedere se questa sfida può essere raccolta e portata avanti esclusivamente in termini di «distruzione creativa», con la conseguente diffusione di omologhi valori di competizione, di merito individualistico, con una inevitabile distinzione tra vincitori e vinti, oppure sia perseguibile un'ipotesi di «solidarietà creativa» con l'inserimento dei processi in una prospettiva di stimolo e di controllo comunitario, con lo sviluppo di valori di comunicazione, di dialogo, di apprendimento, di cooperazione, di uguaglianza, di valorizzazione di tutte le risorse. Certo la prima ipotesi è oggi di gran lunga prevalente. Il progetto di società innovativa che si vorrebbe perseguire poggia - nella economia, nella politica - sull'apologia del migliore: che il migliore vinca, che i migliori stabiliscano le regole èielgioco e le modalità di risoluzione dei conflitti. Sulla base di questi principi si allocano le risorse e si suddividono i redditi. I successi di pochi grandi attori (le grandi concentrazioni produttive multinazionali) diventano espressione di interesse generale. A questo progetto politico-culturale si associa una logica di forza e di violenza, che trova riscontro anche a livello di linguaggio (guerre commerciali, blitz, condottieri, ecc.). La scienza e la tecnologia sono sovente utilizzate (direttamente o indirettamente) come armi al servizio dei più forti; esse diventano pertanto fattore che accentua conflitti e ineguaglianze tra gruppi sociali, regioni, paesi (Petrella R., Le Monde Diplomatique, settembre 1987). La seconda ipotesi presuppone un radicale cambiamento di paradigma. Occorre «allargare i giochi», portare avanti una progettualità non «a chiudere», ma «ad aprire», non «a separare», ma «a ricomporre», non «di specializzazione elitaria» ma «di sinergia comunitaria», non «di distruzione», ma, come dianzi osservato, di «solidarietà creativa». Tutto ciò non costituisce un'illusoria o consolatoria fuga in avanti, ma si pone come fondamento di razionalità necessaria. In termini operativi, prefiggersi l'obiettivo della «qualità della vita» ed «essere solidali» significa creare le condizioni perché abbiano a dispiegarsi le potenzialità di ciascuna persona e di ciascun gruppo sociale, perché sia possibile l'accesso più largo ai beni e ai servizi di base nell'interesse del maggior numero di soggetti e nelrispetto delle generazioni future. Sviluppo (inteso come «avere» in funzione dell'«essere» di ogni uomo e di ogni popolo) e pace rappresentano la grande discriminante tra «vecchie» e «nuove strategie» di politica economica e sociale. Per le prime i «deboli», i «poveri», i «senza potere», i «senza voce» rappresentano un vincolo, un intralcio, un costo da sopportare e minimizzare. Per le seconde questi possono diventare soggetti, componenti, protagonisti dei processi di innovazione, parametro di efficacia. L'affermazione non è soltanto politicoideologica, ma può trovare riscontro in alcune linee di tendenza, in alcuni segnali più o meno forti che sembrano scandire la transizione dall'industria al post-industriale: - la caduta di molti determinismi (tecnologici, organizzativi). Ciò comporta un aumento dei gradi di libertà, ovvero degli spazi colmabili da soggettività, da protagonismi differenziati; - la collegialità dei processi di trasformazione che unisce le diverse soggettività secondo una logica interattiva che trova nella quantità e nella qualità delle interdipendenze il suo punto cruciale; - la dematerializzazione dei processi, la coincidenza tendenziale tra lavoro e servizi; - la dilatazione semantica del concetto di lavoro e l'emergenza di nuove possibilità di impegno nel «volontario», nel «gratuito», nel «solidale». La visione puramente economicistica dello sviluppo ci ha portato in un vicolo cieco. Occorre allargare il campo, occorre ragionare per futuri possibili a partire dai pezzi di progetto che sono elaborati o elaborabili dai diversi protagonisti sociali (a livello nazionale e a li- . - • 27

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