,i).tJ, BIANCO lXll,ROSSO lii•li••il stesse persone: ad alcuni vanno i vantaggi, mentre ad altri vanno i costi. E questo è particolarmente vero in termini sociali. Lo sviluppo, il progresso, la rivoluzione tecnologica che stiamo vivendo sono dei potenti meccanismi squilibratori che producono ricchezza e benessere, ma anche povertà ed emarginazione. Essi generano nuove attività produttive, ma ne fanno scomparire altre; regioni un tempo floride sono oggi in fase di drammatico declino; professionalità fino a poco fa assai richieste sono oggi del tutto inutili. Si stanno cioè attivando dei meccanismi di pauperizzazione ed emarginazione che trovano origine nel mondo del lavoro, ma che espandono poi sull'intera società. Ciò che tuttavia richiede di essere maggiormente sottolineato è il cambiamento culturale che la rivoluzione tecnologica ed il progresso stanno generando. Stiamo infatti vivendo un periodo di grande vitalità imprenditoriale e di ripersonalizzazione dell'attività lavorativa. Finora l'epoca dei grandi stabilimenti industriali e dell'operaio-massa, come un tempo si diceva, si sta sviluppando un nuovo atteggiamento nei confronti del lavoro attraverso la rivalutazione della media e piccola organizzazione produttiva nella quale il lavoratore tende aritrovare un rapporto più personale col proprio lavoro. In queste situazioni l'apporto che ognuno dà al processo produttivo è più chiaramente individuabile, sia nel valutare il merito di chi contribuisce maggiormente che nel pesare il ritardo di chi non fa il proprio dovere. Così come il profitto dell'imprenditore diventa la giusta ricompensa per un ruolo riconosciuto essenziale, anche il salario del lavoratore diventa sempre più collegato al suo specifico apporto personale. Semplificando ed attualizzando una tendenza, si potrebbe dire che si sta facendo strada la concezione che, profitto o salario che sia, il reddito deve compensare il contributo che ognuno dà al processo produttivo. Lo slogan che sempre più sente, infatti, è «premiare il merito». Questa trasformazione nel mondo produttivo ha dato vita ad un nuovo individualismo, contrapposto al sentimento di appartenenza collettiva che i lavoratori precedentemente condividevano. Premiare il merito, infatti, non significa solamente diff erenziare le ricompense, ma anche escludere dal godimento dei risultati tutti coloro che non hanno contribuito a conseguirli. Questa logica, che può avere una sua giustificazione nell'ambito di un processo produttivo, tende però ad espandersi al di fuori dell'impresa e a diventare una nuova regola nelle relazioni sociali. Della sua presenza abbiamo infatti un chiaro segno nelle critiche sempre più aspre che si fanno ai vari sistemi di redistribuzione delle risorse e di sostegno delle persone in situazione di disagio, tutti sprezzantemente bollati di assistenzialismo deteriore e quindi da eliminare o quanto meno da ridurre drasticamente (il progetto di legge finanziaria per il 1991 è un ottimo esempio al riguardo). Lo scenario che ci sta di fronte è quindi alquanto complesso, ma individuabile nei suoi elementi di fondo. La rivoluzione tecnologica agisce come un meccanismo di rottura degli squilibri economici ma anche sociali, dando vita a nuovi processi di disuguaglianza ed emarginazione; la frammentazione produttiva, attraverso la personalizzazione del lavoro, provoca una caduta del senso di appartenenza e quindi una legittimazione della nuova disuguaglianza che si va creando; la solidarietà, intesa come valore e struttura sociale, è in declino, avendo lasciato il suo posto alla competizione. In conclusione quindi sviluppo e progresso non solo generano nuova emarginazione ma producono anche le trasformazioni culturali che la legittimano. In questo quadro, chiaro nelle sue tendenze evolutive, ma ancora impreciso nella sua configurazione attuale, si inserisce il problema della nuova povertà: termine questo che è alquanto ambiguo a causa dei diversi significati che ad esso si vuole attribuire. Il primo uso che ne è stato fatto dev'essere giudicato come assolutamente improprio e merita di essere ricordato solo per accantonarlo rapidamente. Esso è legato al manifestarsi di bisogni «post-materialistici» (talvolta indicati anche come «nuovi bisogni») che sarebbero propri di quelle società che, risolti i problemi relativi agli aspetti materiali della vita, avvertono in maniera sempre più pressante esigenze di tipo relazionale, culturale ed anche di natura psicologica. La non realizzazione di sé, la solitudine, la frustrazione, l'incapacità di godere del tempo libero, la dipendenza culturale sono alcuni esempi di quei problemi che la società dell'abbondanza non solo non riesce a risolvere, ma addirittura crea ed aggrava. È a tutti evidente che si tratta di problemi certamente assai importanti e rispetto ai quali non si può rimanere indifferenti. Ma è altrettanto chiaro che niente essi hanno a che fare
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