Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 10/11 - nov./dic. 1990

~-lJ- BIANCO U-11,ROSSO iiiililiil Milano 1918 disordini. Anche di fronte a questi fatti Sturzo lanciò l'appello ai "liberi e forti". La povertà non coincide con la disuguaglianza e alla prima non si possono estendere tutti gli attributi della seconda. In forma estremamente sintetica si potrebbe infatti dire che la povertà è la disuguaglianza spinta oltre una certa misura. L'affermazione è ricca di implicazioni sul piano operativo. Mentre infatti non avrebbe molto senso un programma politico che si proponesse di eliminare la disuguaglianza in maniera assoluta, sarebbe assai ragionevole proporre un'azione politica che mirasse a ridurre la disuguaglianza. La riduzione della disuguaglianza infatti, oltre ad essere un obiettivo già presente nei programmi politici, è anche una esperienza realizzata in molte società occidentali nel corso degli ultimi decenni. Non è un'utopia, è storia. Ciò che manca è ancora la precisazione del limite entro il quale la disuguaglianza va ridotta. È evidente che tale limite dovrebbe essere individuato, come scelta minima, nel punto nel quale la disuguaglianza si trasforma in povertà; nel punto cioè nel quale una differenza quantitativa in termini di condizioni di vita si trasforma in qualcosa di qualitativamente diverso. Tutto ciò significa che, operando una scelta politica adeguata, la povertà può essere eliminata e non, come dicono molti citando persino una mal letta frase di Vangelo, che essa farà sempre parte della condizione umana. Arrivati cosi alla conclusione che la «lotta alla povertà» è un obiettivo politicamente proponibile ed un'azione operativamente realizzabile, possiamo volgere la nostra attenzione ai legami fra povertà ed emarginazione da un lato e sviluppo dall'altro. Ciò che anzi tutto ■ 23 bisogna mettere in chiaro è che lo sviluppo non è una sorta di divinità che opera in maniera incontrollabile e comunque sempre positiva. Esso è invece il risultato di un'interazione molto complessa fra un assieme di forze che spingono al cambiamento seguendo una propria logica e propri parametri di valutazione. Ciò che comunemente si chiama sviluppo è un processo di trasformazione nel quale la componente materiale diventa sempre più importante. In particolare noi stiamo vivendo una nuova rivoluzione tecnologica che è unanimemente salutata come l'ultimo frutto, appunto, del progresso e dello sviluppo. Questo atteggiamento di passiva accettazione di tutto ciò che sviluppo e progresso ci offrono - o ci impongono - ha cominciato ad essere incrinato da una crescente coscienza dei danni che lo stesso progresso può provocare o dei pericoli nei quali può mettere l'umanità. L'inquinamento dell'aria, la distruzione dell'ambiente, la minaccia del nucleare sono alcuni dei temi che hanno scosso la coscienza collettiva. Si tratta tuttavia pur sempre di elementi per così dire materiali della vita, mentre la dimensione sociale - o umana - delle trasformazioni che sviluppo e progresso provocano resta per lo più ignorata o sottovalutata. Nel migliore dei casi si arriva ad ammettere che una qualche conseguenza negativa si potrà anche produrre, aggiungendo tuttavia subito che del progresso non si possono godere i vantaggi senza dover anche pagare i costi. Tutto ciò è certamente assai ragionevole; ma quello che normalmente si dimentica di sottolineare è che vantaggi e costi non toccano di regola le

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