{)li. BIANCO '1(11. BOSSO iiliiilld si. Chi infatti potrebbe sostenere che il progresso non ha portato miglioramenti eccezionali nelle condizioni di vita della gente anche negli ultimi decenni? Non bisogna andare infatti troppo indietro nella storia per ritrovare un periodo durante il quale diventare vecchi e perdere conseguentemente la propria capacità di lavoro significava automaticamente perdere anche ogni fonte di guadagno e diventare quindi dipendenti da altri per la stessa sopravvivenza; ma anche la disoccupazione durante l'età adulta lasciava il lavoratore senza reddito, così come una malattia produceva gli stessi effetti. Non sono neppure lontani i tempi nei quali la possibilità di curarsi la salute era un privilegio riservato a pochi, così come era di pochi la fortuna non solo di avere un'istruzione, ma anche solamente di imparare a leggere e a scrivere. Servizio sanitario nazionale, sistema previdenziale e sistema scolastico - per quanto imperfetti possiamo noi oggi considerarli - sono innovazioni di una importanza storica eccezionale, che hanno cambiato radicalmente la qualità della vita umana. La loro portata rivoluzionaria in termini di benessere collettivo viene oggi sottovalutata a causa delle critiche che ad essi si muovono relativamente alla loro imperfezione rispetto ad un modello ideale che si vorrebbe subito realizzato; ma nella storia dell'umanità esse hanno forse la stessa importanza dell'introduzione del fuoco. Lo sviluppo dunque c'è stato e non solo nella protezione dai tre rischi capitali dell'uomo (vecchiaia, malattia, ignoranza), ma anche nelle generali condizioni di vita che oggi non sono neppure lontanamente paragonabili a quelle, per esempio, dello stesso inizio secolo. Eppure povertà ed emarginazione non sono scomparse. Anzi, il progresso sembra aver dato vita a nuove forme di povertà e di emarginazione. È forse ora giunto il momento di chiarire le parole che stiamo usando. Sia l'una che l'altra fanno direttamente riferimento al concetto di disuguaglianza, la povertà in termini più direttamente economici, l'emarginazione secondo un'accezione più ampia. La disuguaglianza è sempre stata una costante dell'organizzazione sociale e non ha potuto essere eliminata dalla storia dell'umanità se non nelle visioni degli utopisti dei vari secoli. È tuttavia evidente che la disuguaglianza può assumere forme e, per così dire, profondità diverse nei diversi tipi di organizzazione sociale che vanno dal dispotiI 12 I - smo assoluto alla democrazia parlamentare. Povertà ed emarginazione sono legate alla struttura della disuguaglianza perché di essa sono la pratica attuazione «oltre un certo limite». Collegare questi due fenomeni con la disuguaglianza e, contemporaneamente, individuarne la distinzione, ha una utilità epistemologica e al tempo stesso pratico-politica. Inserendo infatti povertà ed emarginazione all'interno del fenomeno della disuguaglianza individuiamo automaticamente la loro natura di processo sociale collettivo che interessa si singole persone e famiglie, ma solo in quanto attori di una dinamica sociale. In altre parole, forse più chiare, povertà ed emarginazione non vengono in tal modo ad essere considerate come situazioni individuali, legate alla storia dei singoli che ne vengono colpiti, ma come fenomeni sociali che trovano la loro origine nei processi sociali generali di cui sono parte (val forse la pena di aggiungere per inciso che questo non significa affatto negare la presenza di una dimensione individuale del fenomeno). Gli aspetti pratico-politici di questa impostazione del problema sono altrettanto importanti. Comprendere povertà ed emarginazione all'interno del più ampio tema della disuguaglianza significa anzi tutto che una politica contro la povertà non va diretta primariamente verso le persone povere, ma deve mirare a modificare i meccanismi che generano e mantengono la disuguaglianza. La differenza dovrebbe essere evidente cosi come è evidente la differenza fra politica assistenziale e politica sociale. Questo significa che se da un lato è giusto e necessario mantenere (e forse sviluppare) una politica assistenziale nei confronti di coloro che già si trovano in situazione di povertà, d'altro canto bisogna impostare la politica generale di sviluppo della società tenendo conto degli effetti che essa produce sulla disuguaglianza e, conseguentemente, sulla povertà. Povertà ed emarginazione diventano cioè criteri ispiratori di una politica globale e non oggetto di politiche settoriali (e per di più di seconda categoria). Essi diventano, per cosi dire, i parametri rispetto ai quali si devono misurare le realizzazioni dello sviluppo. Vi è poi una seconda considerazione che discende da questa impostazione del problema. Si è detto poco sopra che pur essendo collegate fra di loro, povertà e disuguaglianza devono essere considerate separatamente. La distinzione è fondamentale per non essere portati a conclusioni operativamente paralizzanti.
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