B .P.ll- BIANCO lx.li.ROSSO iii•iii•il come punto di riferimento la persona e la complessità del lavoro e della società e non più la classe operaia. L'unità sindacale trova un riferimento ben preciso anche nella garanzia che altre componenti presenti in Cgil - ed in particolare quella socialista - possano anch'esse dissolversi, ma secondo tempi e regole che salvaguardino il patrimonio di elaborazione e di valori che ha sempre inciso nel definire il cambiamento e l'evoluzione di questa Organizzazione e diano spazio a dirigenti e a lavoratori, uomini e donne, che per questo hanno aderito e militato nella Cgil credendo fermamente e lavorando da sempre per l'unità sindacale. È pertanto significativo ed importante che a questa componente venga richiesto - anche da autorevoli dirigenti di altre Organizzazioni - un particolare impegno di elaborazione e di proposta e la disponibilità ad abbandonare le vecchie regole di certezza. Tutto questo non deve però indulgere di nuovo verso le concorrenzialità e neppure verso un tentativo di costruire l'unità con intenti egemonici da parte di interlocutori confederali che in passato hanno giustamente rimproverato per questo la Cgil. Il presupposto della autonomia dai partiti di Gianni Italia La ripresa di una discussione sull'unità sindacale ha coinciso con il precipitare della crisi dei regimi comunisti nell'Est europeo ed ha preso nuovo slancio dall'evoluzione in atto nel partito comunista italiano. Quasi che la sconfitta sul campo dell'ideologia comunista aprisse di per sé una prospettiva nuova in Italia per il movimento sindacale dopo la cocente delusione della mancata unità degli anni '70, dissoltasi nel 1984. Non mi pare, questo, un approccio che possa esaurire le questioni sottese al problema dell'unità sindacale. La caduta delle ideologie e della loro forza a spiegare la realtà, era in atto già da lungo tempo. Anzi proprio l'esperienza unitaria del 1970-1984 ha contribuito a compromettere la capacità di presa delle ideologie sulla prassi concreta del sindacato. Certo oggi nuovi orizzonti di lavoro e di confronto si aprono. Si può avviare una ricerca in campo aperto dove nessuno può pensare di esercitare «egemonie» mutuate da investiture ideologiche, tutte da verificare sulla base delle proposte e delle idee legate alla soluzione dei problemi di tutela e di rappresentanza. Ma, in fondo, nel sindacalismo italiano la discussione era questa già anche prima della caduta del «Muro». Riprendere oggi il filo di tale discussione significa riaprire un confronto sulle «cose», sul I 17 - - - «fare concreto», per raggiungere traguardi di tutela e di eguaglianza accettabili e, per le caratteristiche specifiche della situazione italiana, per estendere gli orizzonti della solidarietà. Questo lavoro parte da una premessa che va chiarita e che rappresenta la condizione di base decisiva per una discussione chiara e non condizionata all'origine. Tale condizione è rappresentata dal rapporto con i partiti. Se la caduta dell'ideologia libera la ricerca di un nuovo profilo ideale e concreto del sindacato, l'autonomia dai partiti è un presupposto perché questa ricerca non sia fagocitata e resa sterile. E nella particolare situazione italiana dove l'estensione del condizionamento dei partiti, giusto o sbagliato che sia, è rilevantissima, questo è un aspetto che merita un chiarimento preliminare. Non si tratta di un'autonomia che predica l'agnosticismo. I partiti sono uno dei fondamenti della nostra democrazia politica, ma va affermato un rapporto fondato sul reciproco riconoscimento di ruoli diversi e di diverse finalità nella gestione della rappresentanza. Una rappresentanza che, proprio in ragione dell'evoluzione concreta dei partiti nella situazione italiana, è diversa tra partiti e sindacati. In questo senso lo scioglimento della componente comunista in Cgil è certamente un
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