Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 10/11 - nov./dic. 1990

L. 6000 mensile di dihattito politico Sped. in abb. postale• Gr. 111/70% • Annoi sommano novembre/dicembre 1990 34 DOSSIER: Cattolici,politica, riformismo Orlando in campo. Tra rischi e soluziO'Ri, di Stefa- 52 no Ceccanti 35 Chiesa italiana e cattolici in politica, di Francesco Malgeri Cattolici e Stato: una svolta?, di Giovanni Guzzetta 54 36 Cattolici, valori democratici e sistemi autoritari, di I cattolici nel sindacato, di Bruno Manghi 56 Danilo Veneruso I cattolici nel volontariato sociale, di Luciano 57 38 Chiesa, Dc e cattolici italiani, di Adriano Ossicini Tavazza 39 I cattolici a sinistra: anticipatori da rivalutare, di Gio- Oltre la secolarizzazione: tra Balbo e Napoleoni, di 59 vanni Tassani Luciano Valle 41 Cattolici nelle liste Pci: una esperienza riuscita?, di I cattolici e la "fine" del comunismo, di Piero Pratesi 60 Mario Gozzini I cattolici "dopo" la Dc, di Luigi Pedrazzi 62 43 Cattolici italiani e "credito" al Pci, di Giovanni Cattolici e rlf ormismo possibile, di Luigi Ruggiu 63 Gennari 45 Cattolici riformisti: una storia attuale, di Luigi A mo ' di conclusione: una speranza, di Giovanni 66 Covatta Gennari 46 Chiesa e socialismo italiano: "Intese" senza dialo- Indicazioni bibliografiche, di Biblo 67 go, di Gabriele Gherardi ALL'INTERNO: altri articoli di 48 La "cultura della presenza ", di Marco Cangiotti P. Carniti, G.P. Cella, G. Tedesco, O. Del Turco, 50 La "cultura della mediazione", di Giorgio Tonini L. Di Liegro, G. Biondi, A. Quaglia, G. Quiritarelli, A. Carli, G. Italia, R. Morese, G. Sarpellon, L. 51 La /unione attuale dei cattolici democratici, di Pie- Caselli, B. Costa, L. Sommella, A. Scarpellini, L. tro Scoppola Morgantini, N. Sgaramella ''Gladio'' e dintorni di Pierre Camiti L a vicenda Gladio non è chiusa, e almeno per il momento i suoi sviluppi politici e giudiziari non sono prevedibili. Alcune constatazioni, però, si possono già fare. Innanzi tutto essa ha esaltato certo giornalismo chiassoso e superficiale che anziché informare giudica e sentenzia. Di questo tipo di giornalismo il direttore di Repubblica si è confermato un indiscusso caposcuola. Dopo aver chiesto, sulla base di una notizia di agenzia, le

i)J.t BIANCO l.XltllOSSO lih•kHAiiNI immediate dimissioni del capo dello Stato è tornato alla carica affermando che Cossiga ha fatto male a rimettere al governo la· richiesta del giudice·Casson di testimoniare nel processo per la strage di Peteano e che il governo, a sua volta, ha fatto altrettanto male a rimettere l'onere della decisione alla Corte Costituzionale. La campagna anti-presidente, in atto con pretesti vari da alcuni mesi, ha avuto così nuovi impulsi. Lo scopo di questa campagna, . stando a quanto si dice con crescente insistenza negli ambienti politici, sarebbe quello di nominare il successore di Cossiga prima della fine della legislatura, cioè con questo parlamento. Ciò, ovviamente, per il timore che nella prossima legislatura i rapporti di forza tra i partiti possano mutare e quindi anche il loro relativo peso negoziale. Come tutte le congetture anche questa può risultare arbitraria. Ma è difficile sottrarsi alla sensazione che le dispute procedurali sull'iniziativa del giudice Casson non nascondano altro. Il secondo aspetto che colpisce in questa polemica su Gladio è la regressione del linguaggio della politica. Spira una irreale brezza da anni cinquanta. Bloccato dal sospetto, ciascuno si arresta alle soglie della propria verità nel timore dell'ipocrisia altrui. Con un itinerario così distorto prima ancora di chiedersi se certe proposizioni siano vere o false, c'è soltanto da constatare che sono prive di significato. Andreotti ha rievocato al Senato i bei tempi in cui si rese necessario il «patriottismo» di Gladio perché i sovietici minacciavano invasioni, finanziavanu sovversioni ed incoraggiavano complotti ed insurrezioni armate di comunisti. Occhetto ha commentato il suo discorso in Tv, leggendo una dichiarazione parca e generica di argomentazioni, ma ridondante (appunto, come ai bei tempi) di insulti. Il presidente del Consiglio è stato qualificato: impudente, irresponsabile, sfacciato e scandaloso. Naturalmente deve lasciare subito palazzo Chigi perché non offre alcuna garanzia nella ricerca della verità. C'è stato anche chi, come lngrao, si è dichiarato offeso dall'apprendere dell'esistenza di una organizzazione gladiatoria che lo avrebbe discriminato, non perché colpevole, ma perché comunista. Eppure, in questa sgangherata democrazia, nessun complotto ha impedito all'onorevole lngrao d diventare presidente della Camera. Incarico tutt'ora ricoperto dall'onorevole lotti. Si tratta di un ruolo che, per altro, in nessun paese è riconosciuto ., 2 •- ---- - --- -- ad un rappresentante dell'opposizione. Ma anche al di là delle istituzioni, se si guarda alla vita pubblica, dalle Usl alla Rai, dalle banche alla neonata Autority antitrust, è difficile trovare traccia di una discriminazione anticomunista. Sotto questo profilo, almeno, l'indignazione risulta francamente immotivata. I toni fuori misura della polemica appaiono quindi più l'avvio di una campagna elettorale, (anche se si continua a fare un gran spreco di parole per dire di non volerla anticipare) che un possibile contributo alla chiarezza ed alla verità sui misteri della Repubblica. La terza e più importante constatazione che la vicenda suggerisce riguarda il funzionamento del nostro ·sistema politico-istituzionale. Colpisce il fatto che la violenta polemica italiana non abbia avuto eco negli altri paesi europei, dove pure esistono organizzazioni tipo Gladio. L'unica eccezione è stato il Belgio dove si è appreso che nessun uomo politico, nemmeno il primo ministro Martena (che è al potere da oltre 10 anni), ne era mai stato informato. Il caso comunque è stato provvisoriamente chiuso con l'avvio di un'inchiesta amministrativa che nel giro di poco tempo dovrebbe fornire le sue conclusioni. Lo scopo dell'inchiesta è soprattutto quello di appurare se l'organiizazione sia stata coinvolta in attività criminali o terroristiche, negli episodi di destabilizzazione, particolarmente gravi, verificatesi negli anni ottanta, le cui implicazioni politiche non sono mai state chiarite. La questione comunque, almeno finora, non ha assunto particolare rilievo. Negli altri paesi interessati, a parte qualche breve divertito commento della stampa locale alle polemiche italiane, non c'è stata alcuna reazione, né di ordine politico, né all'opinione pubblica. Come si spiega questa diversità di comportamenti? Conteranno probabilmente differenze ambientali e temperamentali, ma conta soprattutto il fatto che il nostro sistema politicoistituzionale non funziona più. Costruito in un'Italia che usciva da una dittatura e da una sconfitta, divisa in due blocchi politici contrapposti che corrispondevano ad una analoga divisione internazionale, più che alla funzionalità ed all'efficacia, esso si è concentrato sulla realizzazione di un sistema di garanzie reciproche. Questo spiega il proporzionalismo e, soprattutto, il consociativismo. La proporzionale ha consentito di metabolizzare molti mutamenti sociali e culturali, ma il costo della dispersione, della frantumazione, del non gover-

{)JJ. BIANCO '-Xli.ROSSO IIU•d1Aiili no è ormai troppo esoso rispetto alla contropartita di fagocitare il cambiamento. La politica «ideologica» vive la sua consunzione. La storia dei partiti tradizionali non eviterà il loro tramonto se rifiuterà di vedere ciò che è oggi la società. Quanto essa è mutata, nel bene come nel male, anche per il contributo di coesione che proprio i partiti hanno assicurato. Cambiare significa allora ricostruire la politica, riautenticare il nesso tra consenso e potere, rifondare il patto democratico intorno alle reDon Romolo Murri. : - 3 gole della democrazia dell'alternanza. La peculiarità negativa dell'Italia è la mancanza di alternanza, cioè la democrazia bloccata. La virulenza del caso Gladio ha qui la sua spiegazione. Ciò che preoccupa, dunque, non è tanto che, sul tema dei servizi e del loro rispetto della legalità democratica, vi possa essere un confronto anche aspro. Preoccupa che il polverone polemico serva ad occultare i problemi ed a eludere le soluzioni.

{)JI, BIANCO ~11,llOSSO iii•iii•P Pci: dalla falce alla quercia di Gian Primo Cella I 1 cammino della formazione politica comunista ed ex-comunista fra i due simboli non sarà facile. Se i simboli contano, e si sa quanto hanno contato (assieme alle parole) nella tradizione comunista, una prima difficoltà sarà posta dalla presenza del vecchio simbolo alla radice della quercia. Un vincolo con il passato che penso sia stato collocato in quella posizione non solo per ragioni «ignobili» (l'impedire il suo utilizzo elettorale da parte di gruppi scissionisti) ma anche per ragioni «nobili»: il legame alla tradizione, la distinzione dalle componenti socialiste nel movimento operaio, l'ammissione di paternità, un rifiuto del rilievo. La vecchia effige potrebbe impedire lo sviluppo della nuova formazione che, in verità, sembra essere solida solo nella immagine (la quercia), mentre se sarà veramente nuova sarà fragile come tutti gli ultimi arrivati entro un sistema politico-partitico in crisi quanto si vuole ma consolidato. Ma potrebbe anche riaffermare un carattere, la doppiezza, che sen\brerebbe oggi la componente più sgradevole della cultura e della pratica politica del comunismo italiano. Tuttavia, la presenza del vecchio simbolo, qualcuno suggerisce sarebbe solo temporanea e rivolta a proteggere i sentimenti senza ostacolare la nascita di una nuova ragione politica. Sgombrato allora il cammino da ogni ostacolo? Si e no, e vediamo perché. Il cammino fra la falce (più il martello) e la quercia potrebbe non essere solo difficile, potrebbe essere impossibile. In politica certo non sono comuni i «teoremi di impossibilità», e la storia è piena di più o meno brillanti trasformazioni condotte in porto con successo. Ma forse, in questo caso, un simile teorema si rivela applicabile, e dimostrabile, od almeno si presenta come un utile strumento interpretativo. Il teorema è così enunciato: si dia una formazione politica A, che vuole diventare la formazione politica B, preservando nella sostan- ~ 4 . - - --- - - - - -- za la sua consistenza e le sue dimensioni; si verifica impossibilità quando per il raggiungimento di B, essa è costretta ad attivare dinamiche che le impediscono il mantenimento delle dimensioni di A, e quando per il mantenimento di queste ultime deve preservare condizioni che le impediscono di raggiungere B (dato il postulato di una certa tendenza dell'ambiente esterno a muoversi su una linea che da A va verso B). La stilizzazione è imperfetta, e spero non solo provocatoria. Ma in qualche modo rende il tipo di problemi che si trova ad affrontare l'attuale (ex) Pci. L'impossibilità si manifesta su molti fronti, e gli esempi non mancano. La prima parte del teorema è verificata attraverso la strepitosa esplosione di conflittualità interna che sta accompagnando il sorgere della nuova formazione. Tali fenomeni minano quella condizione di «diversità» che aveva caratterizzato il Pci rispetto agli altri partiti italiani. Una condizione all'insegna del centralismo democratico, che aveva come corollari una dose elevata di moralità politica (in assenza di correnti legittimate viene meno un potente incentivo alla immoralità predatoria rivolta al sostegno delle correnti stesse) ed una disponibilità «paterna» del partito nei confronti degli iscritti o dei simpatizzanti. Tale condizione era attaccata, ed è comprensibile, dagli altri partiti democratici, spesso tormentati da una conflittualità interna invero eccessiva. Si può certo sostenere che tale mutamento sia un prezzo necessario per l'arrivo alla formazione B (ed al tipo di partiti ad essa simili). Ma questo prezzo molti non lo vogliono pagare, anzi rifiutano solo l'idea dell'apparire del prezzo, e probabilmente abbandoneranno il campo. Con le identità non si gioca. La seconda parte del teorema è verificata attraverso i periodici ritorni della tradizione di cultura politica comunista che hanno contras-

i>JI, BIANCO lXH.ROSSO iii•iii•il segnato le vicende di questi ultimi mesi. Una cultura fatta di certezze più che di dubbi, di violenza più che di tolleranza, di indignazione più che di argomentazioni, di inarrestabile vocazione alla totalizzazione delle polemiche, di dissonanze cognitive più che di coerenti modalità di conoscenza e di apprendimento. Una cultura che abbiamo visto riapparire in vicende interne ed esterne come la questione medioorientale (con la connessa partecipazione militare italiana), la unificazione tedesca, i modi di lettura o di reazione alla scoperta di una organizzazione segreta (o «riservata» o «parallela») nell'ambito Nato. Il mantenimento di questa cultura può forse ridurre la conflittualità di cui sopra, ma impedisce l'arrivo alla formazione B (sempre che questa sia una nuova formazione). Perché è plausibile la validità di un tale teorema di impossibilità? Perché un partito moderno è, e deve essere, «piglia tutto» ma non può essere tutto. Deve essere pronto ad accogliere i voti di chiunque, ed anche ad accollarsi una molteplicità di obiettivi, non sempre coerenti fra loro. Ma non può generare dubbi sulla propria natura politica; i conflitti e le tensioni politiche che potrebbe generare sarebbero maggiori di quelli che contribuisce a risolvere. Esisteva un altro cammino? Probabilmente si, quello che porta alla nascita di una nuova formazione politica (senza vincoli di trasformazione di quella vecchia) all'interno degli spazi previsti dagli assetti liberal-democratici, spazi che, anche se estesi, non sono infiniti. Ma con quali costi, anche per intere generazioni di dirigenti politici? Comunque sia auguri per un lungo, forse impossibile, cammino. Pci: il muro e l'albero di Giglia Tedesco ' E passato un anno dalla caduta del muro di Berlino; egualmente un anno, dalla proposta di Achille Occhetto di trasfondere il Pci in una nuova formazione politica: quella che è annunciata ormai, dalla denominazione, come partito democratico della sinistra, e, dalla immagine, come l'albero che simbolicamente dalle radici si espande e si proietta. Eppure, non si intende far crescere questo albero soltanto sulle pietre rovinate da quel muro. Da qualche tempo, ormai, il nostro vecchio schema di partito - pur tanto trasmutato - appariva, più o meno consapevolmente, stretto rispetto alle stesse idee che lo avevano generato e su cui si era sviluppato. Così la caduta di quel muro è apparsa come il suggello, la testimonianza terminale di un'epoca che è finita. L'idea secondo cui si tratterebbe soltanto della presa d'atto di un «fallimento» è semplicistica e parziale. Certo, nella caduta del muro di Berlino vi è l'immagine corposa e : - --- - - -- 5 clamorosa del crollo di un modello, quello dominante, per quasi mezzo secolo nell'est europeo, che identificava la giustizia nella statizzazione, la liberazione umana nell'edificazione del «campo socialista». Ma l'evento berlinese ha scoperchiato anche una verità più generale: il modello internazionale dominante per quello stesso mezzo secolo è alle nostre spalle e con esso la divisione dell'Europa, e del mondo, in due blocchi contrapposti; la sfida alla sopravvivenza e allo sviluppo in termini di antagonismi tra sistemi sociali e politici incomunicabili se non in termini di reciproca minaccia. Ora, invece, con la distensione fra l'Est e l'Ovest, si impone a tutti quello che Gorbaciov ha definito il nuovo modo di pensare. Ciò vale nelle relazioni tra stati e aree del mondo, relazioni che pure si sviluppano in modo più tumultuoso, contraddittorio e conflittuale di quanto forse avremmo immaginato; vale a testimoniarlo la drammatica crisi del

~.ltBIAl\'CO ~11,ROSSO iii•iii•P Golfo che ripropone in modo imprevedibilmente accelerato le questioni del rapporto Nord-Sud, del ruolo delle organizzazioni internazionali, del modo di soluzione politica dei conflitti. Ma ciò vale egualmente nei rapporti interni agli stati, tra le forze politiche, tra la politica e gli esseri umani in carne e ossa. Nelle vicende italiane è fin troppo evidente lo scollamento, il distacco tra cittadini e istituzioni, tra società civile e partiti politici. Tutto ciò è riconducibile alle esclusioni, alle involuzioni, alle corruzioni, a volte alle putrefazioni di un vecchio modo di fare politica; ma non solo: cresce il divario fra nuove domande e schemi sorpassati nella realtà. Di qui la richiesta oggettiva, che diviene sempre più esplicita, di una profonda riforma del sistema politico, e con esso dello Stato e delle sue strutture. Non esplode a caso il nodo della riforma del sistema elettorale, come prova anche la richiesta referendaria. Occorre dunque che i partiti si rimettano coraggiosamente in discussione, se vogliono esRomolo Murrideputato al Parlamento sere in grado di misurarsi con la riforma, non più rinviabile, del sistema politico. Sta in ciò il valore della sfida di Occhetto: cambiare se stessi, per essere efficaci e plausibili nelle proposte di mutamento. Nell'ormai lontano 1948, di fronte ali' Assemblea costituente appena insediata, Togliatti affermò essere i partiti la democrazia che si organizza, i partiti di massa la democrazia che si afferma. Su queste basi fu edificata la democrazia repubblicana. Oggi le forme della democrazia, alla luce delle stesse finalità generali della Costituzione, vanno sottoposte al vaglio. La diffusa critica al sistema dei partiti è un indice di questa necessità. Per questo abbiamo voluto ripartire da noi, rimettendoci in discussione, come comunisti. Certamente, scommettere non basta. Proprio chi, ambiziosamente, si propone di rinnovare se stesso per meglio concorrere a mutare la società, si trova di fronte interrogativi di grande impegno. Così, ad esempio, per il rapporto fra tradizione e innovazione: come trasfondere in modelli nuovi il patrimonio del movimento operaio italiano, ponendolo a confronto con altre culture ed esperienze? Egualmente superare la ideologia, non può significare optare per un pragmatismo empirico, bensì ricercare e affermare valori sganciati da modelli ideologici precostituiti, ma pur radicati nelle grandi e irrinunciabili opzioni della giustizia, della libertà, della trasformazione, della solidarietà. Lo scontro sociale permane, e per molti versi si aggrava; ne mutano tuttavia le forme e la portata: ad esempio, il rapporto fra bisogni e diritti, non è più leggibile solo con il codice degli antagonismi tradizionali. Al di fuori degli interrogativi qui accennati, non comprenderemo le difficoltà che la svolta incontra all'interno del Pci, le resistenze non definibili, soltanto riduttivamente, in termini di «conservazione». Più semplici, certo, da spiegare le pressioni esterne di chi sembra sollecitarci - certo non disinteressatamente - a restare nei vecchi modelli, ovvero a rifiutarli in toto anziché superarli e trascenderli. Il senso di queste suggestioni apparentemente opposte è, a ben guardare, comune: si vuole negare alle grandi forze che il Pci rappresenta, riunisce ed esprime una funzione autonoma e attuale. Ma la sostanza della «grande scommessa» sta proprio nell'essere capaci di esercitare, costruendola ed affermandola nei fatti, una tale funzione. : 6 '

i.)-lJ. BIANCO '-Xli. ROS..',O iii•iil•h Post Pci: la nuova fase della Cgil di Ottaviano Del Turco I 1Congresso della Cgil è chiamato, in misura più ampia di altre occasioni, a misurarsi con i nodi del rinnovamento e dell'identità della più grande confederazione italiana. I cinque anni che ci separano dal precedente congresso non sono solo un periodo temporale denso di esperienze e di bilanci da trarre: segnano la più straordinaria fase di rivoluzione dal dopoguerra, la fine di un modello e di una storia a cui larga parte della sinistra italiana, e della Cgil, aveva ispirato le proprie idealità e le proprie identità. Segnano il superamento del comunismo e la trasformazione del più grande partito comunista d'occidente. Di fronte alla portata di queste trasformazioni, il congresso della Cgil è chiamato ad una prova difficile ma importante: fare i conti con quanto sopravvive di vecchio e di superato al suo interno, in termini di scelte rivendicative e di modelli ideali; rinnovare la propria carta di valori e di programmi scegliendo nella propria storia i contenuti più alti che hanno resistito alla prova dei fatti e sono gli unici a poter fondare la prospettiva, il futuro della Cgil, con il meglio dell'esperienza passata. Non quindi una rimozione generale che lascerebbe la Cgil senza memoria e valori, senza padri né madri, ma una scelta di verità che separi quello che va difeso e salvaguardato di questa storia da quello che va abbandonato e modificato. Per parte mia, ho ritenuto che questa prova importante di rinnovamento fosse definita da una netta ed inequivocabile identità riformista della Cgil, intesa come metodo di lavoro sindacale di definizione degli obiettivi di programma, come valore di unità interna alla Cgil ed all'intero mondo del lavoro, come scelta di difesa dai pluralismi contro ogni logica di intolleranza e settarismo. Una Cgil in grado di fare i conti severamente con i problemi della crisi della rappresentanza del sindacato, ma anche di valorizzare risultati ed obiettivi conseguiti; pronta a riflettere sui limiti presenti, ma anche decisa a superarli con chiarezza e con coerenza. Fanno parte di questi valori, l'idea di un sindacato moderno dei diritti, della solidarietà tra diversi, autonomo nella propria cultura, nei propri strumenti, nelle proprie proposte. Un sindacato che assuma il tema del proprio pluralismo politico come risorsa fondamentale per sé e per tutto il mondo del lavoro; che lasci le vecchie culture dell'antagonismo sociale e politico e si misuri con il più moderno e giusto binomio di conflitto e cooperazione; che si misuri (per davvero) con i temi della politica dei redditi e dei vincoli che ne derivano; che scelga con convinzione con l'adesione alla Cisl Internazionale il punto naturale di approdo di una scelta ventennale e la sede del proprio impegno per il superamento degli squilibri tra Nord e Sud del mondo. Infine, una Cgil in grado di vivere una nuova fase di regole nella sua vita interna, capaci di attenuare un ruolo burocratico delle componenti di partito, perché tali da avere al proprio interno per scelta esplicita, la condizione della valorizzazione del pluralismo politico ed ideale della Confederazione. Le risposte che sono venute a queste esigenze poste dai socialisti non sono state tutte lineari. Qualcuno vi ha voluto vedere una omologazione con scelte di partito; qualcuno ha voluto banalizzare questa o quella scelta di merito. È toccato a Bruno Trentin, nella relazione e nelle conclusioni del Convegno di Ariccia sullo scioglimento della componente comunista della Cgil, dare le risposte fino ad ora più organiche. Soprattutto nella replica di Ariccia, Trentin ha mostrato attenzione alle nostre valutazioni ed alle nostre proposte. Lo ha fatto sul terreno della difesa, dell'unità e

_il.t.l. lllANCO l.Xll. llOSSO lii•iilib del pluralismo della Cgil e della sua storia, del rispetto delle regole e della pari dignità nel rinnovarle; lo ha fatto con attenzione sulle scelte rivendicative, su quelle di collocazione internazionale, sulla democrazia industriale ed economica. Lo ha fatto con qualche pregiudizio sul terreno della politica dei redditi; sull'idea del rifiuto dell'antagonismo. Vi è però ancora qualche evidente punto di dissonanza. Che senso ha parlare della crisi del sindacato in termini quasi totali, definitivi? Perché dissolvere una componente e le sue responsabilità prima di avere concorso a definire le nuove regole del gioco? Perché pensare che con questa scelta si superano i nodi dell'autonomia della Cgil, quando questi permangono e possono essere resi più acuti dallo svolgimento del congresso del Pci/Pds? Quello che deve essere chiaro, è che quando parliamo della valorizzazione del pluralismo della Cgil non ci riferiamo ad una difesa di parte. Parliamo del valore proprio del sindacato italiano insieme a quello della sua autonomia. Del valore a cui per molti anni hanno guardato insieme la Cgil, la Cisl, la Uil. Non tutti, anche fuori della Cgil, hanno colto questo spirito. C'è chi addirittura ha dichiarato aperte le iscrizioni alla propria organizzazione. Questo è un errore, perché solo l'idea del pluralismo come risorsa e valore in sé può rendere più unito e più forte il sindacato italiano di fronte all'Europa. Ma non vedo perché ci si debba lamentare se ci tocca (per qualche tempo) caricare sulle nostre spalle la difesa di questo valore. Razzismoa Roma: la Pantanellacome esempio di Luigi di Liegro Ma a Roma come va il razzismo? Chi non sapeva finora dare una risposta per mancanza di prove, di fronte al triste muro antimmigrati costruito in questi giorni nella periferia romana, deve ammettere che in quanto a lotta contro i pregiudizi siamo ancora all'anno zero. Continuano ad esistere le condizioni per lo sviluppo del razzismo, mentre mancano, nella maggioranza dei casi, quelle per combatterlo. Gran parte dei romani sono immigrati, soprattutto dal mezzogiorno, a lungo discriminati, maltrattati e spesso sfruttati. È difficile trovare a Roma oggi il romano «da sette generazioni». È stato faticoso l'inserimento nella città di quanti venivano, nel dopoguerra, dal Sud per costruirsi un futuro. Ma questo non ci ha condotto ad essere antirazzisti, a pensare di non voler fare ai nuovi immigrati quello che è stato fatto a noi. Al contrario abbiamo sviluppato la tendenza a difenderci, a sospettare di :, 8 tutti, a considerare l'immigrato come un marginale, come un pericolo sociale, un fattore di instabilità, un criminale allo stato potenziale, un portatore di malanni. La figura stereotipata dell'immigrato «brutto, sporco, cattivo, miserabile», non viene suffragata da nessuna ricerca empirica. Manca totalmente una sua conferma nelle situazioni messe in luce anche da una recentissima indagine fatta dalla Caritas proprio sugli ospiti dell'ex Pastificio Pantanella, di cui si sono interessati in questi giorni i mezzi di comunicazione. Il susseguirsi di episodi marginali che la cronaca facilmente enfatizza, traccia un profilo di difficoltà di relazione cui siamo di fronte. Ma non si può tacere quanto sia grave il peso delle carenze informative basilari. La Caritas diocesana ha voluto venire in soccorso con una ricerca puntuale, che, per così dire, fotografa gli alloggiati all'ex Pantanella da agosto a novembre. Scorrendo i risul-

i.>.ll• BIANCO lXH.ROSSO iiiiiil•P tati di questa indagine conoscitiva molti luoghi comuni vengono abbattuti e la questione immigrati comincia ad assumere contorni definiti. I paesi di provenienza dei 2279 alloggiati nello «shishmahal», o «Palazzo di Vetro», come l'edificio diroccato della via Casilina (nei pressi di Porta Maggiore) è stato con lieve ironia definito da alcuni dei suoi abitanti, sono i seguenti. L'880Jo giunge dal sub continente indiano, India - Pakistan - Bangla Desh, mentre la componente Nord Africana non supera il lOOJo.Prima di giungere a Roma quasi tutti hanno soggiornato e lavorato in vari paesi industrializzati del mondo - dal Giappone al Nord Europa - dove hanno appreso lingue e levigato mestieri. Ventisei lingue dei paesi di origine e altre tredici di paesi ex coloniali o toccati dal viaggio migratorio, rinverdendo il mito della torre di Babele, si confrontano negli spazi desolati dell'ex pastificio romano. Esse ci pongono però anche il problema di quale debba essere il nostro comportamento di fronte a tale straordinaria ricchezza. Puntare sull'assimilazione univoca nel nostro modello linguistico? Affidarci alle suggestioni del crogiuolo di lingue da cui dovrebbe nascere una sintesi culturale nuova e positiva? Favorire il pluralismo etnico e linguistico e dunque addestrare alla comunicazione nella nostra lingua mentre noi ci addestriamo alla comunicazione nelle loro? È una domanda la cui risposta è vincolata a valutazioni ed orientamenti generali. Se infatti il flusso migratorio più che un problema marginale ed emergenziale, come se fosse una calamità, si presenta come primo consistente sussulto della trasformazione in atto verso una società multietnica e multiculturale, la risposta parrebbe, pur se non di facile attuazione, piuttosto scontata. Parrebbe, perché poi nei fatti quotidiani tutto ritorna ad essere confuso ed affrontato con affanni emergenziali e confusi, come il piano di sgombero dell'ex Pastificio ordinato dall'assessore Azzaro ha dolorosamente evidenziato. Dalle lingue alla scolarità e al lavoro: anche qui i luoghi comuni ordinari, dell'immigrato senza arte né parte, debbono essere semplicemente abbandonati. Gli alloggiati all'ex Pantanella presentano tassi di scolarizzazione oscillanti intorno al valoro medio di 10 anni, con una percentuale piuttosto alta di diplomati superiori o universitari. Il che vuol dire che nei paesi in cui l'analfabetismo raggiunge valori del 700Joper la popolazione con oltre 15 anni, sono partiti per arrivare fin qui le persone culturalmente più informate ed attrezzate. Un ulteriore impoverimento dei paesi di origine, certamente, ma anche una ulteriore responsabilità dei paesi ospitanti, peraltro non estranei al drammatico gap culturale che affligge le relazioni Nord-Sud del mondo. Guardando la tabella riassuntiva delle qualifiche professionali, un dato evidente è la definizione metropolitana dei mestieri e delle professioni. Ai primi posti si collocano gli operai manifatturieri, gli edili e i lavoratori dei servizi. Non trascurabile, tuttavia, è la percentuale degli impiegati, degli artigiani e dei professionisti. Si tratta di un'offerta giovane e flessibile, per il 900/ocompresa tra i 18 ed i 39 anni e disposta a trasferirsi anche fuori Roma (nell'800/o dei casi). È un'offerta il cui destino, sul mercato del lavoro, sembra però fortemente pregiudicato dall'assenza di strutture adeguate di raccordo e contrattazione con le fonti della domanda. Positiva pertanto appare l'idea lanciata, dalla Caritas e dai Sindacati, di un'Agenzia del lavoro locale, come pure l'intenzione di favorire la formazione di cooperative al fine di «ottimizzare» l'offerta di prestazioni sul mercato del lavoro e ridurre, nello stesso tempo, le frizioni di natura transculturale e linguistica. Vale infine la pena di riflettere che gli immigrati sono gli elementi più validi di una comunità, quelli maggiormente capaci di iniziativa, i più forti moralmente, i più coraggiosi e fisicamente validi. Sono essi che decidono di emigrare, di elaborare progetti di miglioramento economico e civile per sé e per la propria famiglia. È una punta avanzata, un rappresentante della sua comunità nazionale. Vi è in ognuno di loro, anche nel più bloccato dalla barriera linguistica e dalla mancanza di mezzi finanziari, uno straordinario anelito di libertà, un bisogno crescente di autorealizzazione, un progetto. Deluderli vorrebbe dire deluderci. Ma, ancora peggio, non metterci al più presto in grado di affrontare, con l'impegno e gli strumenti istituzionali necessari, una trasformazione sociale che si annuncia strutturale e irreversibile, non farebbe che aggiungere problemi a problemi. L'occasione offerta dagli immigrati della ex Pantanella è una occasione da non perdere; sarà nei prossimi mesi, comunque, un banco di prova per le istituzioni, Stato ed Enti locali. Ci si deve chiedere, allora: che succederà se la prova andasse fallita?

_.l>-l-B1I,ANCO l.Xll.llOSSO lii•iii•b Dopo la ''Gladio'' di Gigi Biondi ' E noto che i paesi occidentali hanno condizionato i loro aiuti all'Urss e ai paesi dell'Est ad una riforma che porti quei regimi in piena situazione democratica, anche attraverso la trasparenza di tutti gli archivi delle polizie segrete. E da noi? Possiamo dire che questa trasparenza democratica è un fatto assodato? La vicenda «Gladio» non è che l'ultimo capitolo di una storia lunga: Sifar, P2, Rosa dei Venti, Sismi e Sisde deviati. La domanda posta sopra può tradursi anche in altro modo, rispetto alle questioni interne che dominano la scena politica italiana. Eccolo: dopo aver sottoposto ai più rigorosi controlli clinici il sangue dei comunisti italiani per misurarne la crescita del tasso di democrazia e dopo averli a lungo psicanalizzati per certificarne la sincerità della loro riconversione, non è finalmente venuto il momento di rendere totalmente trasparente la storia della nostra democrazia per liberarla dalle troppe tossine accumulate finora alla vigilia di una nuova fase del suo sviluppo? Fuor di metafora ospedaliera, non sono forse cresciute nel Paese strutture occulte, segretissime, che hanno sovrapposto ai loro compiti istituzionali altre attività miranti a scandire ogni passaggio della vita pubblica con lo sferragliare delle armi e con il fragore delle bombe, attivandosi a garantire impunità e coperture? E la lunga sequela di deviazioni dei servizi segreti, mille volte riformati e mille volte di nuovo deviati, non indica con qualche evidenza che probabilmente non già di fellonia di qualche generale si debba parlare, ma di una «linea politica» coerente nel tempo? Sono questi gli interrogativi che attendono risposta e, prima ancora che i comunisti, dovrebbero esserecoloro che comunisti non sono a pretendere chiarezza estrema, e specialmente coloro che tali non sono per motivi radicalmente diversi da quelli dei conservatori. An- : IO che perché l'anticomunismo elevato a sistema di potere corroborato da strutture atte all'uopo, è servito a depotenziare ogni riformismo sociale e politico che fosse possibile introdurre non già dalla porta maestra dell'alternativa, ma almeno dalla finestra della coabitazione forzata nei governi di coalizione che hanno retto il Paese. L'Italia è venuta configurandosi nel contesto della democrazia europea come un'anomalia consistente nel blocco del punto più delicato del suo funzionamento: quello dell'alternanza al governo di schieramenti diversi. La consociazione tra Dc e Pci è stato il modo tutto italiano di mitigare l'eccessiva rigidità di un sistema a ruoli fissi ed immobili: frutto della mancanza di alternanza essa ne ha impedito ulteriormente la possibilità. È questo il contesto reale nel quale è cresciuta la patologia dell'occulto e del segreto, l'utilizzo improprio di strutture dello stato, la crescita e di una costituzione materiale altra da quella formale e legale. Nel momento in cui il Pci si libera del comunismo aprendo la possibilità (da verificare sul terreno programmatico e politico) dell'alternanza, occorre sbaraccare le strutture dell'anticomunismo sulle quali si è edificato il sistema di potere imperniato sulla Dc. Ma rigenerare la democrazia, come pretende Occhetto, è possibile solo facendola funzionare come deve funzionare una democrazia, e cioè l'opposto dei vari governi di emergenza, di concordia, di unità nazionale. Alla sinistra è deputato il compito di indicare gli strumenti istituzionali e la piattaforma politica di una nuova sinistra di Governo, evitando i tatticismi ed i pasticci referendari: aspettare gli uni e gli altri (Pci e Psi) le proposte della Dc in materia sa molto di una subalternità psicologica prima che politica, anch'essa frutto di quarant'anni di democrazia bloccata. Inoltre è come se si chiedesse al tacchino

iiiiiil•b di anticipare il Natale ed aspettare che sia d'accordo nel farlo. A questo compito dovrà rispondere il Pci nel suo congresso, scegliendo una linea politica ed una struttura valoriale compatibile con il socialismo democratico e liberale. Ma anche il Psi deve cominciare ad attrezzare la piattaforma politica e programmatica che consenta al riformismo di non essere solo un'ideologia da declamare ed un argomento polemico da contrapporre al comunismo. L'indimenticabile '89 ha rivoltato come un guanto le classi dirigenti di quei paesi, rendendo impossibile anche ai più riformisti tra quei comunisti la gestione della fuoriuscita dal comunismo. È il caso di auspicare che la sinistra italiana, unita e rinnovata su basi saldamente riformiste e democratiche, sappia evitare che, dopo aver governato quarant'anni in nome dell'anticomunismo, la Dc ne governi altri quaranta in nome del «non più comunismo». «Oltre la 180>>c:ambiare, B • ma senza rinnegare di Annalisa Quaglia A più di dieci anni di distanza dall'approvazione della riforma psichiatrica si torna a parlare di disagio mentale. La condizione disastrosa in cui versano i servizi di assistenza psichiatrica in Italia giustifica, anzi rende inevitabile un intervento legislativo di riforma, o per meglio dire di attuazione di una riforma già esistente, ma operante soltanto a metà. Non ha bisogno, invece, di una contrapposizione ideologica costruita e alimentata da presupposti errati. Da tutti è ampiamente riconosciuto il valore della riforma psichiatrica attuata nel 1978 con la legge 180 successivamente inglobata nella legge 833/1978 istitutiva del Servizio sanitario nazionale. Tale legge introduceva principi innovativi e di rottura nei confronti di un approccio medico-organicistico della malattia mentale proprio di una cultura positivista. Veniva così ad abrogare le disposizioni sui manicomi e sugli alienati previste dalla legge 36 del 1904. Scompaiono il ricovero coatto, sostituito dal Tso, e il riferimento alla presunta pericolosità sociale del malato mentale, il quale ora viene parificato all'infermo fisico. La legge 180può essere considerata espressione della contestazione condotta da parte di alcuni psichiatri nei confronti dell'aspetto custodiate - - -- - - - - -- 11 proprio dell'ospedale psichiatrico. Tale critica si inserisce all'interno di un più ampio dibattito politico e sociologico sugli effetti deleteri, totalizzanti e stigmatizzanti prodotti dalle «istituzioni totali». Tuttavia non può essere interpretata come manifesto di una scuola di pensiero fondata unicamente su speculazioni di carattere politico-ideologico. Bisogna ricordare che un gruppo di psichiatri avevano promosso in alcuni ospedali psichiatrici esperienze-pilota (Gorizia, Trieste, Arezzo e Perugia) di notevole rilievo, maturate e programmate con intenso lavoro di équipe. Allora non è sbagliato chiedersi perché esperienze innovative e valide come queste non abbiano trovato attuazione su tutto il territorio nazionale, e perché siano presenti situazioni di mancata presa in carico, di abbandono, di abuso. Lo studio progetto del Ministero della Sanità per la tutela della salute mentale ha evidenziato una disomogenea dislocazione sul territorio dei presidi di salute mentale, ha stimato 132Usl, di cui 100 al Sud, in cui non sono stati mai realizzati centri di igiene mentale. Non solo, le strutture intermedie residenziali e semiresidenziali sono pochissime, quasi del tutto assenti al Sud (19%).

.{)J_I,BIANCO l.Xll,HOSSO iiliiilld Questi dati riportano in primo piano il problema relativo alla carenza di interventi delle istituzioni pubbliche, dovute sia alle scarse risorse finanziarie destinate al settore dell'assistenza psichiatrica, sia ai ritardi nel programmare le necessarie disposizioni normative. In tale contesto si inserisce la nuova proposta di legge recentemente presentata dai socialisti Amato, Renzulli, Artioli e Capria. Quest'ultima propone modifiche ed integrazioni alla legge 833/1978 per una reale attuazione degli interventi di tutela della salute mentale. Non si pone in antitesi ai principi espressi dalla 180, al contrario muovendo da e sostenendo gli stessi valori acustodialistici intende proporre pragmatici strumenti di intervento e modalità di attuazione di questi ultimi. Gli stessi esponenti di Psichiatria democratica (ispiratori della 180) concordano nel ritenere tale progetto ancora suscettibile di possibili miglioramenti, ma degno di attenzione, «una proposta seria, importante, rigorosa». Vengono definiti concretamente i servizi e le strutture di cui il dipartimento di salute mentale deve essere dotato, sia che riguardi interventi di prevenzione e di educazione, sia che si tratti di terapie di riabilitazione e di inserimento sociale (art. 2). Tali attività dovranno essere seguite e coordinate da una Commissione nazionale permanente per la psichiatria con il compito di valutare i programmi approntati dalle regioni (art. 1). Sono previste inoltre, promosse dalla regione, attività di studio, prevenzione e ricerca, iniziative di solidarietà sociale e di volontariato per situazioni di disagio o a rischio. Un elemento invece meno condivisibile e criticato è quello relativo alla riutilizzazione degli ospedali psichiatrici con la funzione di svolgere le attività del Dipartimento di salute mentale. Aspetto che se considerato congiuntamente al progetto di legge elaborato dal ministro della Sanità De Lorenzo, il quale parla addirittura di riconversione per i malati cronici di alcuni reparti degli ex manicomi, suscita perplessità e preoccupazione. Tuttavia è possibile affermare che i principali aspetti emergenti dalla presente proposta socialista ci riportano a quelle esperienze modello realizzate in alcuni contesti territoriali, in cui i servizi ci sono e funzionano 24 ore su 24. Estendere queste potenzialità laddove le strutture sono carenti o totalmente assenti è un obiettivo comune raggiungibile attraverso una adeguata integrazione legislativa in grado di colmare i vuoti normativi lasciati aperti da un mancato regolamento di attuazione della 180. Non ha senso quindi parlare di restaurazione ideologica o di controriforma, a meno che non si voglia spettacolarmente proporre la questione in termini dualistici di contrapposizione tra due modelli non antitetici ma che si muovono verso la medesima direzione. Porto S. Elpidio. L'inaugurazione della lapide a Ferrar con Romolo Murri. : 12

,P_tJ, BIAI\CO '-Xli.ROSSO iii•iii•h A proposito della innocuità dello <<spinello> di Giuliano Quintarelli S i parla molto in questi tempi di droga e dei suoi effetti deleteri sull'organismo, ma si cerca anche di differenziarne le caratteristiche, dipendentemente dal tipo di stupefacenti usati, e si sostiene che i più accettabili, da un punto di vista della loro tolleranza e nocività, sono i derivati della canapa indiana. È forse il caso di chiarire alcuni aspetti circa le caratteristiche dei cannabinoidi e dei loro reali effetti sull'organismo che, mi sembra, non sono stati discussi ed esaminati dalla stampa come l'argomento merita. Il derivato più comune della cannabina è la marijuana, quest'ultima coltivata soprattutto in America. La sua massima utilizzazione è negli Stati Uniti, e si ritiene che oltre 23 milioni di americani la fumino abitualmente. Inoltre le statistiche di quel Paese, sostengono che circa il 60% di tutta la popolazione statunitense ha provato almeno una volta a fumare lo «spinello». In Italia il derivato della cannabina comunemente usato non è, come si può credere, la marijuana, bensì l'hashish, cioè il più potente fra i cannabinoidi ed otto volte più forte della marijuana. L'hashish determina un grado di intossicazione molto elevato anche a causa della contaminazione chimica dovuta all'uso sulla pianta della canapa, di notevoli quantità di pesticidi, di antiparassitari e di erbicidi fortemente tossici come il Paraquat e di sterco bovino essiccato, usato molto spesso come compattante dell'hashish. La presenza di quest'ultimo nella «pasta» di hashish ha provocato in diversi casi, gravi infezioni di salmonella. Una sigaretta di hashish, o di marijuana, dal peso di un grammo contiene il 2% del farmaco, il tetraidrocannabinolo (Tbc), dal quale si liberano circa 2.000 metaboliti, tutti separabili e già chimicamente identificati. Contrariamente a quanto comunemente si crede, dopo aver fumato una sola sigaretta, la cannabina interagisce con i lipidi, specie quelle delle membrane cellulari; resta fortemente legata a queste molecole, e la sua eliminazione dall'organismo avviene in tempi molto lunghi: non meno di 3-4 settimane. Dopo le prime boccate di fumo l'effetto farmacologico è immediato e dura in media 2-3 ore. Allo stato di benessere, di euforia, di migliore lucidità e chiarezza mentale, ed alla perdita di certi stati inibitori, seguono una serie di reazioni tra cui la perdita di coordinazione temporale, per cui il fumatore farmacodipendente confonde il passato con il futuro ed il presente. Questo stato psichico viene definito di «disintegrazione motoria>>. Inoltre, la perdita temporanea di coordinazione motoria, rende pericolosa la guida di qualsiasi veicolo motorizzato. È sufficiente aver fumato una, al massimo due sigarette, perché si verifichi una distorsione delle immagini, un'alterazione del senso della distanza e di configurazione spaziale. A questo proposito, l'incidente aereo occorso lo scorso dicembre all'aereoporto Kennedy di New York dell'apparecchio appartenente alla compagnia Us Air sembra essere dovuto al fatto che il co-pilota dell'aereomobile, era un fumatore farmaco-dipendente. Il fumatore di estratti della cannabina perde la percezione del tempo: i minuti sembrano ore, avverte una sensazione di peso agli arti, un aumento del battito cardiaco, una visione offuscata, ansietà e timore di morte. L'esame elettroencefalografico dimostra delle variazioni notevoli che rimangono tali anche dopo diversi mesi dalla interruzione del farmaco. Da un punto di vista biochimico si è visto che il Tbc persiste nel plasma del fumatore per molti giorni, e lo si ritrova fortemente aderente alle cellule nervose particolarmente a quelle della sostanza grigia. È stato sperimentalmente os-

,i)!J, BIANCO l.Xll,ROSSO Uiiiii•P servato che il condensato della marijuana e dell'hashish è più cancerogeno del condensato del tabacco di sigaretta, ed è stato inoltre dimostrato che i derivati della canapa indiana deprimono le risposte immunitarie ed influiscono negativamente nella funzione sessuale, sia nella donna che nell'uomo. Nella donna, dosi continue di Thc creano stati di alterazione endocrine che conducono all'assenza dell'ovulazione, mentre nell'uomo si ha una riduzione del volume dell'eiaculato ed una ridotta mobilità della cellula germinale maschile. In non pochi casi, nelle forme più acute, si hanno allucinazioni, disorientamento temporale e spaziale, e paranoia. Per il fumatore cronico, abituato alle dosi elevate di Thc, l'assenza immediata del farmaco crea una sindrome di astinenza, rappresentata da irritabilità, nervosismo accentuato, diminuzione dell'appetito, perdita di peso, insonnia, ostilità incontrollabile. Se è vero che la sindrome di astinenza per il fumatore della canapa è di scarso rilievo, è altrettanto vero che esiste per non pochi fumatori una dipendenza psichica che li riconduce, nei momenti di particolare ansia o depressione, alla vecchia abitudine. Molte volte però, l'effetto Thc non è più sufficiente e si passa, quindi, a farmaci più pericolosi. L'uso continuato della marijuana, o dell'hashish, determina una «disfunzione» nel comportamento del soggetto di non poco conto. Tuttavia, a tutt'oggi i dati sperimentali e clinici in nostro possesso non sono sufficienti a chiarire se l'uso dei cannabinoidi, in queste specifiche circostanze di difficoltà esistenziale, rappresenta la causa o non piuttosto l'effetto di una particolare condizione mentale. r--·-·-=--- 1 14 ioISTA Agenzia di notizie, documenti e rassegne: tutto quello che avviene, si dice, si scrive e si tace nel mondo cattolico italiano e internazionale esce due volte a settimana Con alle spalle ben 24 anni di attività informativa ADISTA si propone quest'anno di potenziare i suoi servizi e di allargare il già vasto campo dell'utenza ADISTA assicura, 2 volte a settimana, dierettamente a casa degli abbonati, la più ampia e tempestiva informazione dal e sul mondo cattolico italiano e internazionale, con appena 40 mila lire l'anno d'abbonamento Chi, oltre al proprio abbonamento (nuovo o rinnovavato), ne procura uno nuovo, riceverà in Omaggio l'ultimo libro di GONZALEZ RUIZ «LA CHIESA NELLE INTEMPERIE» Anche i nuovi abbonati, procurando un altro abbonato hanno diritto al libro di Gonzalez in omaggio ABBONAMENTO 1990: L. 40.000 Versamento sul ccp n. 33867003, oppure assegno bancario non trasferibile, oppure vaglia postale. intestare a: ADISTA - Vìa Acciaiali, 7 00186 Roma Di ADISTA hanno scritto: ' ' ADISTA, redatta con intenti critici e con taglio apertamente ecumenico, svelà sovente anche I' •altra faccia• della realtà ecclesiale, i •nodi• che la stampa diocesana non sempre ha il coraggio di affrontare, sia per oggettiva mancanza di informazione adeguata, sia per un certo timore reverenziale che ancora si avverte in molti periodici di casa nostra quando è in gioco l'istituzione ' ' Angelo Montonati (Vita pastorale n. 5/89) ' ' AD/STA è il miglior osservatorio esistente in Italia per quanti sono interessati a seguire l'attività del mondo religioso, , Enzo Forcella (Epoca 13-8-1987)

~.t.1- BIAI\CO '-Xli.ROSSO iii•iil•h Ripensando all'unità sindacale Sul n. 5/6 abbiamo lanciato un dibattito sul tema dell'unità sindacale, attraverso un intervento di Ottaviano Del Turco. Hanno fatto seguito gli interventi di Giuseppe Surrenti, di Walter Galbusera, di Giorgio Benvenuto e di Gigi Biondi. In questo numero pubblichiamo gli articoli di Anna Carli, Gianni Italia e Raffaele Morese. Dopo l'annuncio di Trentin, sullo "scioglimento" della componente comunista della Cgil il dibattito ha assunto un ritmo nuovo, sotto diversi profili capace di aprireprospettive a tutto il movimento sindacale, ma non esente da rischio di tatticismo e di cambiamenti stile "gattopardo". È un aspetto che noi di ReS abbiamo sempre davanti agli occhi (G.G.). Unità sindacale: la nuova opportunità di oggi di Anna Carli Dalla rottura sancita con l'accordo di San Valentino non è mai venuta meno la riaffermazione all'interno di Cgil-Cisl-Uil che l'unità rimaneva un valore. Contemporaneamente - ma in contraddizione - si sono andati accentuando due aspetti: la concorrenzialità per raccogliere iscrizioni e rafforzare la rappresentanza di ogni organizzazione; il riavvicinamento a schieramenti di Partito, che hanno riportato l'identità delle tre Confederazioni a ridare visibilità e consistenza ad allineamenti tra l'altro non più così interessanti e convincenti per i lavoratori, se non per i benefici che ne potevano di volta in volta derivare per la conclusione favorevole delle vertenze. Oggi l'unità sindacale torna ad essere di attualità politica per diverse concause rispetto alle quali non è ancora diffusa la sensibilità e la consapevolezza nel corpo dirigente delle organizzazioni a tutti i livelli. Nella pluralità di cause tre hanno un peso determinante. La modernizzazione dei processi produttivi, il fenomeno di concentrazione del potere economico e comunque la maggiore complessità e sofisticazione delle scelte di direzione aziendale e dei servizi - che dovrebbe coinvolgere anche la Pubblica Amministrazione - l'orizzonte internazionale della vita economica, sociale e politica impongono alle Confederazioni di costruire un progetto con il quale ridarsi un ruolo che coniughi conflittualità e assunzione di responsabilità, attraverso una partecipazione alle decisioni nelle sedi determinanti, per la definizione della politica economica e sociale del nostro Paese. Un altro aspetto riguarda l'esigenza di unità presente tra i lavoratori. È vero infatti che non esiste oggi la tensione unitaria che ha contraddistinto gli anni '70 e che guardava oltre le stesse vicende sindacali, ma non possiamo ignorare che - quasi ovunque - i lavoratori si sentono sollevati e rassicurati quando il sindacato si presenta con una riflessione e con proposte unitarie. Alcuni particolari significativi lo evidenziano. È questa una volontà che si è espressa concretamente con le attività e le esperienze delle donne - presenza sempre più

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