1)JL BIANCO lXltROSSO 1NIIN1di 1 iitiMhh Saddam e il Mondo M entre ci si appresta forse a un lungo confronto di posizioni nel Golfo Persico vale la pena di cercare negli avvenimenti degli ultimi giorni alcuni significati, magari non evidenti nelle immagini e nelle cronache che ci sono pervenute, ma forse più importanti per il futuro della politica internazionale. Il primo fatto portato a ragione in evidenza è la fine della guerra fredda e le conseguenze che questo fatto proietta sulle crisi locali. La concordanza di veduta generale tra Usa e Urss ha permesso di neutralizzare un eventuale allargamento del conflitto, ma si è dovuto ricorrere ai vecchi arrugginiti meccanismi giuridico-politici dell'Onu per risolverlo. La credibilità delle Nazioni Unite era sepolta sotto decenni di insuccessi, a causa dei veti incrociati tra le superpotenze, la sua efficacia dissuasiva ne ha risentito. Per questo, anche se pochi hanno sollevato il problema, emerge chiaramente la necessità, alla luce del cambiamento generale avvenuto nella "società delle nazioni", di una riforma istituzionale, i cui lineamenti generali sono oggi difficilmente definibili, ma i cui obiettivi sono chiari: maggiore sovranità, maggiore ruolo per il segretario generale, un riequilibrio interno che non la faccia assomigliare ad uno strumento di parte, legato agli interessi del Nord del mondo. In questa nuova situazione post guerra fredda non ci sarà più alcuna giustificazione per applicazioni distorte e discriminatorie del diritto internazionale, come è avvenuto in precedenza. In una situazione in cui in nome del diritto internazionale si prendono misure tanto gravi diventando intollerabili anche la mancata applicazione di risoluzioni dell'Onu votate all'unanidi Mario Sepi mità o con pochi voti contrari, restate nel limbo dei buoni propositi non corredate come erano da sanzioni efficaci. Un regime di diritto o è tale per tutti, o diventerebbe subito odioso e strumentale. L'insistenza sulle regole ha un senso, solo se passata questa crisi ci si adopererà con la stessa determinazione su altre questioni, per esempio l'applicazione delle risoluzioni dell'Onu sulla Palestina, anche se sono meno legate ai problemi di approvvigionamento energetico. Il secondo messaggio importante che sorge da questa crisi, del tutto trascurato nei commenti, è la mancanza di un'entità politica, istituzionale, religiosa che sia in grado di esprimere a livello mondiale i bisogni non solo economici ma politici o umani dei paesi poveri. Il fatto che le diplomzie del Nord - occidentali ed orientali - continuino a trascurare colpevolmente i problemi del Sud, che questi ultimi non entrino che in maniera episodica nelle scelte concrete dei paesi del Nord, fa rimpiangere l'inesistenza di un movimento terzomondista capace di esprimere a livello planetario le opzioni dei paesi poveri in un momento in cui il Nord serra i ranghi e si presenta unito. La situazione di miseria economica, ma anche la dignità offesa dei paesi del Sud deve trovare una rappresentanza a questo livello altrimenti sarà incanalata inevitabilmente in binari distorti e pericolosi. L'importanza assunta da Saddam, il sostegno che ha avuto dalle popolazioni dei paesi arabi, il suo tentativo di assumere una dimensione planetaria si spiegano solo se si considera il vuoto di rappresentanza lasciato dalla consunzione del movimento terzomondista. La mancanza di un'ipotesi politica, = 34 di una leadership autorevole e unita come negli anni 50 e 60 dei paesi del terzo mondo, fa si che la protesta delle loro popolazioni si incanali nelle direzioni più disparate degli scontri tribali nei paesi africani, all'islamismo in Medio Oriente, alla protesta sociale in America Latina creando una situazione di frustrazione nei paesi poveri e di pericolosi focolai per i paesi ricchi, data l'interdipendenza planetaria in cui viviamo. Dovrebbero rifletterci quanti in questi giorni hanno ricelebrato i funerali del terzomondismo. C'è infine un terzo significato che ci preme sottolineare. L'evocazione fatta da molti commentatori di un mutamento di fondo nelle relazioni internazionali. Al confronto politico-militare Est ovest si sostituisce quello NordSud. Questa constatazione è più o meno esatta ma va interpretata non in chiave strategico-militare, dell'assalto delle campagne verso le metropoli, quanto in termini di uno sviluppo meno diseguale e distorto. La sicurezza del mondo, la tendenza verso un pianeta senza guerra va ricercata in un riequilibrio economico ma anche sociale e politico tra Nord e Sud, una sicurezza che presuppone paradossalmente più il disarmo che il riarmo, più l'aiuto solidale che lo scontro di interessi. Una riconversione al Nord come al Sud delle risorse oggi dedicate agli armamenti, l'opposizione alla proposta di riadattare la macchina bellica alle nuove presunte minacce del Sud, sarebbero i primi obiettivi da porsi. Più in là c'è la necessità di impostare gli elementi di una strategia per lo sviluppo più complessiva a cominciare da scelte economiche a livello planetario che tengano conto e favoriscano le soluzioni dei problemi del Sud. Le riunioni del 07, le trattati-
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