Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 9 - ottobre 1990

Un modo furbesco per introdurre una specie di maggioritaria corretta, che non porrebbe all'elettore la possibilità di scegliere alleanze di governo alternative, che allo stato oggettivamente non esistono, e che servirebbe solo ad ingessare il vecchio bipolarismo Dc-Pci ormai in via di dissoluzione, neutralizzare e depotenziare il ruolo del Psi e delle altre forze laiche, eternizzare la funzione di Governo della Dc. Altro che alternanza! Una soluzione per difendere e conservare gli attuali equilibri politici. Infine la proposta di introdurre un sistema maggioritario puro, che non avrebbe alcun senso senza una preventiva riforma istituzionale di tipo presidenziale e che sul piano politico finirebbe con l 'avvani)JJ, BIANCO lXll,llOSSO 1111 § 1 11 taggiare soltanto il partito più forte. In questa situazione l'unica strada percorribile ci sembra quella di introdurre correttivi al sistema proporzionale sia per arginare la forte spinta alla polverizzazione del sistema parlamentare, sia per migliorare la qualità degli eletti sia per favorire apparentamenti e aggregazioni tra forze omogenee. Riservando alla attuazione di correttivi istituzionali il compito di rendere più stabili ed efficienti i governi. Otterremmo così l'effetto di una salutare semplificazione del sistema partitico in aree omogenee, un confronto più diretto e netto tra esse e, se ci fossero i consensi necessari, la possibilità di una alternanza nelle alleanze di governo. Resta, tuttavia, al di là di qualsiasi progetto di ingegneria costituzionale, il problema di dare corpo ad una prospettiva di rinnovamento, e si tratta di.un problema politico, il principale problema politico che ha dinnanzi a se non solo la sinistra ma la democrazia italiana. Da tempo noi abbiamo indicato una direzione di marcia, un itinerario: l'unità socialista. Altri non hanno proposto nulla o quasi di nuovo. Il vero nodo è questo, se nel Pci si continuerà ad oscillare tra neoconsociativismo e bipolarismo, se il dibattito per la nuova «cosa» resterà impantanato nelle mediazioni interne, e nel tatticismo antisocialista, difficilmente nel mondo potrà prendere corpo una prospettiva di rinnovamento e di alternanza. Fedeltà al mandato degli elettori L e democrazie occidentali mature non sono caratterizzate tanto dalla alternanza al Governo di individuileaders, o di partiti politici o di coalizioni di governo, quanto dal principio della chiarezza dei rapporti tra elettori ed eletti, nel senso che gli eletti presentano agli elettori proposte di programma sulla cui attuazione vengono costantemente controllati dai rispettivi elettori, o ipotesi di maggioranze di governo che si confrontano davanti agli elettori per la conquista democratica del potere. L'alternanza al governo del Paese, di conseguenza, costituisce una eventualità che attiene al ricambio delle classi dirigenti in seguito ad un giudizio politico degli elettori e non già, di per sé sola, l'essenza intima ed ineludibile dell'esperienza democratica occidentale. In questo contesto condivido l'opinione espressa, nel corso degli ultimi dieci anni in particolare, in base alla quale la crisi dell'esperienza democratica italiana investe soprattutto il prodi Francesco D'Onofrio gressivo venir meno del vincolo di coerenza tra elettori ed eletti in ordine all'attuazione dei programmi ed alla definizione delle alleanze politiche ritenuti opportuni per l'arco di tempo assegnato alla legislatura nazionale o regionale, o al periodo previsto per la durata in carica delle assemblee elettive locali. Non mi nascondo il fatto che questa crisi è allo stesso tempo politica ed istituzionale, nel senso che è insufficiente da sola sia una risposta rimessa esclusivamente alla buona volontà delle forze politiche, sia alla adozione di strumenti elettorali che in qualche modo costringano alla previa indicazione di alleanze e programmi da parte dei partiti politici agli elettori. Ne consegue che la questione di fronte alla quale ci troviamo non è tanto, a mio giudizio, quella di consentire una alternanza al governo del Paese resa impossibile dalle attuali leggi elettorali. Ed invero con le leggi vigenti si è potuto assistere al passaggio dall'alleanza di cen- = 26 tro a quella di centro-sinistra, da questa ad un nuovo esperimento di centro, dagli equilibri più avanzati alla solidarietà nazionale, da questa al pentapartito. E, per quanto concerne gli Enti Locali, l'alternanza si è potuta dispiegare anche in termini più ampi e radicali di quelli riscontrabili nell'esperienza nazionale, come dimostra il passaggio, frequentemente reversibile anche nei fatti, da maggioranze imperniate sulla Democrazia Cristiana a maggioranze che la escludono. Non credo, in definitiva, che possano esservi riforme istituzionali che di per sé assicurino una alternanza per così dire frequente e armonica tra schieramenti e programmi di volta in volta caratterizzabili come progressisti e conservatori, o laici e cattolici, o europeisti e nazionalisti, per indicare alcune delle caratteristiche delle concrete esperienze di alternanza ipotizzabili ed ipotizzate per l'Italia democratica. Occorre incidere, a mio giudizio, sulle

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