.L)!I, BIANCO lXll,llOSSO ii••iiiib spensabile quale quello del dovere tendere a sostenere interessi e diritti, su obiettivi precisi e con un "metodo" ed una "cultura" non contraddittori, sia dentro i luoghi di lavoro che fuori. Di questi tempi le forze sociali sembrano tendere, almeno una parte di essere, alle scorciatoie, per ciò che concerne l'esigenza di esprimere un protagonismo politico, comprensibile ed accettato dalla gente, dai cittadini. Di qui la logica del referendum elettorale, del "polo" politico trasversale, del superamento dei problemi con una sorta di previsione sui cambiamenti politici sulla quale giocare il proprio ruolo. Così, ancora una volta, ci si dimentica del valore della dimensione dell'impegno sociale, e della forza che tale dimensione può dare all'impegno sindacale, nel nostro caso, o di altro tipo. E si rischia di rimanere "nani politici'' alla mercè delle strumentalizzazioni presenti nei disegni politici. Il sindacato deve invece avere la forza di recuperare la sua autonomia di proposta e di cultura camminando lungo itinerari nei quali l'apertura ai fenomeni sociali, ai nuovi problemi, sia ancora una volta significativa e capace di indurre a "rischiare". Cultura, strategie, attenzione a quanti si muovono per rivendicare solidarietà ed equità, capacità di sperare le angustie di classificazioni che modificano l'impegno delle donne, dei giovani, degli anziani, continuandoli a concepire come "minoranze" da proteggere e non protagonisti cui fare spazio, coraggio nel dotarci di nuove impostazioni contrattuali e nello stabilire un equilibrio fra peso e valore delle esperienze sindacali nell'apparto produttivo e nel terziario, la cui esplosione di questi anni non può cancellare tutto il resto: sono questi alcuni spunti di lavoro per ritrovare una dimensione di impegno per l'unità. Unità alla cui base sono i valori di sempre del sindacato, primo fra tutti quello della solidarietà. Unità si, ma davvero nuova di Gigi Biondi L a crisi del sindacato è sotto gli occhi di tutti. Non serve negarla, magari scambiando l'elefantiasi delle iscrizioni con la crescita della rappresentatività e della rappresentanza. Ancora meno utile sarebbe enfatizzarla, leggervi declini irreversibili, ingigantirne la portata per minimizzare l'incapacità a fronteggiarla. Sono solo due modi apparentemente diversi di non risolverla. Non esistono «cause oggettive» che spiegano il declino, né spinte esterne al cambiamento, anche se è giusto tener conto di ciò che si muove; ma occorre anche la consapevolezza che in un mondo che cambia vorticosamente chi non cambia in fretta rischia l'emarginazione. Al sindacalismo confederale manca un progetto, e soprattutto la volontà di darsene uno: in questo risiede la ragione primaria del suo indebolimento. E l'unità sindacale di cui si ricomincia meritoriamente a parlare, non può essere il surrogato di questo progetto che manca: tre debolezze, se anche trovano il modi di mettersi assieme, non fanno una forza. Alcuni citano, come indicatore della crisi, che il 60% dei lavoratori non è iscritto a nessun sindacato; ma il problema veroèchel'altro 40%non trae dalla tessera ilpotere di decisionecheglispetterebbe, non si sente protagonista e quindi, parafrasando Berlinguer «ha esaurito la sua forza propulsiva» verso chi al sindacato non èiscritto. Non basta il pragmatismo a diventare protagonisti, specie se esso da strumento per dare gambe alla politica ne diviene il contenuto, dilatando fino a divenire senso comune e valore in sé, neanche se fosse condito con una robusta prof essione di valori ridotti in tal modo a supplemento d'animo incapaci di contaminare e fecondare le scelte. Per ridefinire un ruolo all'altezza dei tempi è prioritario combattere il «doroteismo» che è entrato dalle finestre, e spessoanche dalla porta, col suo seguito di reticenza culturale, di riduzione della politica a gestione e dei problemi fra idee a problemi fra uomini.
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