Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 9 - ottobre 1990

»-P· BIAl\CO lXll,ROSSO iii•iil•ii del costo del lavoro è cattivo. Stranamente il giudizio sulla competitività si trasferisce in questo caso dai soliti argomenti di mercato della qualità e del prezzo dei prodotti a quello delle scelte produttive e del modello di sviluppo. Che a portare avanti questi concetti e questo modo di concepire la produzione siano, oltre agli imprenditori più ricchi anche i sindacati europei, non rende il discorso meno sconcertante. Queste difficoltà a formulare obiettivi comuni e perfino omogeneità di linguaggio sono dovute all'equivoco, prodotto anzitutto dal modo in cui è stato concepito il mercato interno del 1992, di una Comunità basata su un meccanismo unico concorrenziale e istituzionale, pur in presenz.a di persistenti e notevole ineguaglianze regionali. Gli effetti negativi degli sviluppi assunti dal rapporto tra la Cee e i paesi del Sud Europa e del Mediterraneo si stanno drammaticamente manifestando oltre che nell'impoverimento di queste aree nelle ripercussioni dirette che ciò provoca nella Cee a causa della forte immigrazione da queste aree. L'Italia, doppiamente esposta a questi problemi ed agli squilibri che ne derivano, può svolgere un ruolo importante sia per il peso che è in grado di esercitare nella Comunità come paese membro, sia per l'occasione che viene ora offerta al Governo italiano, mediante il proprio semestre di presidenza. Referendum: la Cisl torna a casa Dc U n primo importante successo i promotori del referendum elettorale lo hanno già comunque assicurato alla partitocrazia. È, infatti, un successo di quella partitocrazia che la campagna referendaria fuorviante ed ambigua, ha bollato sui suoi manifesti come il «nemico» l'eclissi dell'autonomia sindacale e, specialmente, l'eclissi della autonomia della confederazione che proprio per la separazione dalla lotta politica amava caratterizzarsi negli anni Ottanta rispetto alle altre. Ancora all'ultimo congresso Mario Colombo, oggi presidente dell'lnps, all'epoca fra i massimi dirigenti della Cisl, aveva definito per questo la sua organizzazione una «splendida anomalia», senza accorgersi, però, che la splendida autonomia nel frattempo era finita. Che anche il sindacato avesse ormai urgente bisogno di uno Stato efficiente col quale potesse contrattare accordi collettivi e politiche economiche e sociali con qualche garanzia della fedeità agli impegni assunti e quindi della stabilità dei governi, non c'è dubbio. Tanto più l'esigenza doveva essere avvertita dalla Cisl, che è sempre stata la confederazione più rappresentativa nel pubblico impiego senza riuscire a dare un colpo risolutivo agli interessi corporativi che si oppongono, anche al suo interno, alla riforma dell'amministrazione e all'efficienza dei servizi. Ma i dirigenti sindacali non erano così sprovveduti da ignorare che scegliere, per la stabilità dei governi e quella connessa delle politiche pubbliche, l'una o l'altra strada di riforma istituzionale proposta aveva anche precise conseguenze: schierarsi ineluttabilmente a favore e contro questo o quel partito; non pervenire magari al risultato per la scarsa idoneità della soluzione preferita; soprattutto, nella peggiore delle ipotesi, entrambe le cose insieme, cioè compromettersi di brutto in senso partitico senza centrare l'obiettivo dichiarato. La Cisl avrebbe potuto invocare un sistema politico funzionante anche in Italia a schieramenti contrapposti, con esecutivo stabile e voto elettorale determinante, e fermarsi lì, secondo tradizione. Forse avrebbe potuto persino pronunciarsi, intanto, per un sistema elettorale maggioritario, per esempio quello dell'iniziativa referendaria (collegi uninominali a unico turno), intendendolo come aspetto importante della necessaria costruzione di un regime presidenziale, l'unico che possa garantire, nella situazione italiana data, la contrapposizione a due, la scelta elettorale diretta dal governo, la stabilità del medesimo, oltre che un inizio di distinzione fra istituzioni e partiti. Viceversa il vertice della Cisl ha fatto l'esatto contrario. Cominciò il segretario generale, Franco Marini, a scagliare l'anatema, nel citato congres-

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