~.lt BIANCO lXILHOSSO iii iii i iii Pietro Nenni vota per l'Assemblea Costituente, 2 giugno 1946. l'appuntamento del 1984,che per noi ebbe quasi l'avvisaglia di un tentato «corto circuito a scala sismica»; questa volta però, in quanto voluto dagli uomini, si riuscì a scongiurarne gli effetti. Si riuscì ad evitare, insomma, che la liquidazione della Cassa per il Mezzogiorno coincidesse - sull'ondata di critiche che si stava abbattendo sullo Stato sociale - con la «circuitazione a tutto campo» della politica meridionalistica. Per evitare questo siamo ancora in trincea e, per inciso, non siamo affatto disponibili a rinunciare al «messaggio meridionalistico» in quanto tale: al suo essere, per noi, messaggio «autentico». Non c'è ombra di polemica in questo rilievo, ma certo dovremmo dissentire da Bruno Manghi che «firmando un suo articolo nel precedente numero di questa rivista (come sopra ricordato) - lascia intendere il rischio di essere «traditi dalla retorica» qualora ci attestassimo sulle vecchie frontiere del meridionalismo. Noi siamo ancora pronti a scommettere sull'autenticità di questo «messaggio» perché, proprio nel suo nucleo originario e centrale, abbiamo intravisto quel «gruppo di continuità» che non solo ci ha impedito di fare corto circuito ma di crescere quasi senza interruzione. È lo stesso risultato complessivo della nostra esperienza, che ci vede ormai elemento qualificante di un sistema agro-alimentare della dorsale appenninica, a stimolarci a continuare a far perno su un concetto di Stato sociale caratterizzato più in termini di «progetto di sviluppo» che di «normativa d'intervento», cioè processualmente «sovradimensionato» rispetto al modo tradizionale di intendere lo Stato sociale. Vale a dire quell'ispirazione «keynesiana» che al massimo arriva all'economia del benessere, mentre noi intendiamo operare nel più ampio contesto dell'economia dello sviluppo. Quello stesso ambito, cioè, che già nel 1980 ci consentì di intendere la politica meridionalistica come anticipo di una emergente «politica dei meridiani». Politica che, con la rotazione «planetaria» dello scontro Est-Ovest al confronto Nord-Sud, è a sua volta elemento qualificante di quello «sviluppo dei popoli» che - se non altro al dire della «Populorum Progressio» - sembra (Medio Oriente permettendo, ma forse proprio per la minaccia insita in quell'area) ormai unicamente declinabile come «nuovo nome della pace».
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