Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 7/8 - ago./set. 1990

{)jJ, BIANCO ll(Jt BOSSO lililii•b zione nel senso della assunzione di responsabilità e nell'accettazione di regole del gioco che in una società complessa debbono necessariamente accompagnare il costante e rigoroso perseguimento degli obiettivi prioritari. La questione «partecipazione» continua quindi a permanere un nodo ancora irrisolto, ma resta anche una via obbligata perché non esistono ad essa alternative se non quelle della caduta progressiva di ruolo politico per il sindacato che paradossalmente rischierebbe di trovarsi nella poco rimediabile condizione di cogestire le situazioni di crisi assumendosene in parte anche le responsabilità senza trarne alcun vantaggio in termini di poteri di controllo o di diritti di informazione. Il quadro attuale delle forme di partecipazione è molto vasto, carico tanto di ambiguità quanto di vincoli rigorosi, differente per livello di poteri e di responsabilità, per la dimensione e natura dell'attività svolta dal soggetto interlocutore. Esse incidono ora sull'impresa ora sul sistema delle imprese, ora mediante l'intervento pubblico nell'economia: interessano sia il settore privato sia quello della pubblica amministrazione. Si strutturano con modalità diverse e danno luogo a regole di natura diversa oppure semplicemente a pressioni. Assai complessa è poi la realtà della P .A., a livello centrale e periferico in particolare delle strutture erogatrici di servizi pubblici essenziali, in cui l'esistenza di un rapporto di lavoro di natura pubblica e il rilievo che è venuto ad assumere nel settore la figura del giudice amministrativo costituiscono una specificità su cui sarebbe opportuna una riflessione più approfondita. È evidente che una politica che fa della partecipazione istituzionale il suo strumento di natura strategica non può che svilupparsi lungo due linee strettamente connesse: quella costituzionale e legislativa ordinaria che trova il suo campo di applicazione nel sistema delle imprese pubbliche e private e quella della concertazione, della programmazione e della politica dei redditi. Una politica di sviluppo di cui il sindacato possa essere protagonista richiede la governabilità ad ogni livello, ma ciò non può essere inteso come un tentativo di negare il conflitto ma, al contrario, di razionalizzarlo ai fini di renderlo più adeguato ad un sinda- : 9 cato che vuole essere soggetto protagonista delle scelte di fondo per il governo dell'economia. La politica dei redditi è lo strumento operativo che traduce in provvedimenti gli accordi sottoscritti al tavolo della concertazione triangolare, modulati in relazione al quadro complessivo delle scelte decise dal Parlamento che rimane depositario ultimo della sovranità popolare. Una vera politica dei redditi, strumento essenziale della concertazione, deve disporre necessariamente per essere tale, di un fisco equo ed efficiente. Essa può determinare in funzione delle circostanze tetti programmati o dinamiche predeterminate di crescita della remunerazione dei fattori produttivi e dei servizi pubblici, accompagnati da adeguate clausole di garanzia, modificare la struttura del costo del lavoro e individuare le fonti di finanziamento della fiscalizzazione degli oneri sociali. Tale politica ha bisogno di condizioni, strumenti e procedure certe. Tra l'altro si potrebbe avvalere del Cnel riformato che, in quanto rappresentante di tutte le forze sociali, potrebbe avere il necessario consenso, l'autorevolezza e la competenza ad elaborare ed omologare i diversi dati e parametri sulle dinamiche dei redditi e dei prezzi, al fine di fornire alle parti indicatori certi sulla base dei quali costruire trattative e realizzare gli accordi anche al fine di evitare incertezze interpretative. Ma la concertazione è complementare ad un coerente progetto di partecipazione alla gestione delle imprese. In questi giorni, proprio da parte di quello che da sempre è stato il più rigido dif ensore delle prerogative d'impresa, arriva l'apertura più clamorosa, che coglie la più estrema tra le soluzioni ipotizzate nel dibattito sulla partecipazione dei lavoratori. Romiti rilancia, infatti, l'ipotesi della presenza di rappresentanti dei lavoratori nei C.d.A. delle aziende. È paradossale che una simile proposta da sempre messa all'indice sia dal mondo delle imprese perché considerata evasiva, sia dalla sinistra sindacale perché «collaborazionista», e sostanzialmente abbandonata dall'area sindacale interessata alla politica concertativa perché «prematura», ricompaia ora attraverso un simile canale. È importante che noi cogliamo e com-

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